Le Carte Parlanti

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Mundimago

giovedì 8 dicembre 2016

Vince il NO ma non si VOTA in Italia


La vicepresidente del Comitato per il No, la si riconosce subito: è la 44enne col pancione, incinta di una bambina che sta per arrivare. L’hanno definita come una pasionaria, come il volto pulito di quel fronte che accomunava opposizioni diverse per stili e obiettivi. La giurista, avvocata e attivista originaria di Cosenza, ad esempio, non aveva l’obiettivo di far cadere il governo, ma fermare una riforma che, tra le altre cose, è «nata come un testo blindato. Senza chiamare in causa né giuristi né cittadini». E, nella vittoria del No, Falcone vede la conferma della «sensibilità democratica» dell’elettorato italiano.

D: Ha vinto un No per la Costituzione o un No contro Renzi?
R: È stato sicuramente un voto per difendere la Costituzione e un modello democratico che è stato minacciato dalle politiche degli ultimi vent’anni. Non tanto e non solo nell’architettura costituzionale, ma soprattutto nella garanzia dei diritti. Lì è iniziato il primo attacco alla Costituzione, aderendo a dei modelli di riforma che hanno reso i cittadini più fragili.
D: Dunque non è stato un voto populista attratto unicamente dall’opportunità di mandare a casa il Presidente del Consiglio?
R: Le componenti del voto sono tante, ovviamente. Ma quando si raggiungono percentuali così alte, considerata la generale disaffezione alla politica, non si può che convenire sul fatto che si tratti di un voto pro-Costituzione. I cittadini italiani sono spesso molto più maturi e responsabili rispetto a tanti politici. E quindi vanno ascoltati.
D: La nostra Costituzione è perfetta così com’è?
R: Qualsiasi testo può essere migliorato. Le costituzioni, poi, sono documenti storici con una connotazione storica. Quando si tocca la Carta, lo si fa per un miglioramento, non per cambiare surrettiziamente la forma di governo e i rapporti di forza tra le istituzioni, e quindi anche tra queste ultime e i cittadini.
D: Lei come la cambierebbe?
R: Ognuno di noi singolarmente ha delle idee di modifica, ma quando si va a toccare la Costituzione in maniera così importante non lo si può fare solo perché da giuristi si è affezionati a un’idea. Lo si può fare solo coinvolgendo i cittadini, in un’ampia consultazione che non sia quella referendaria, ma che parta a monte. La domanda da porre è: quale tipo di democrazia volete per i prossimi decenni? È una questione di metodo. I tecnici possono solo suggerire degli aggiustamenti, ma sono i cittadini che devono decidere.
D: E la riforma che è stata bocciata dal referendum?
R: È nata come un testo blindato. Senza chiamare in causa né giuristi né cittadini. In altri Paesi, le proposte di riforma sono state pubblicate su Internet, in maniera che i cittadini potessero esprimere il loro parere e magari fare delle proposte. La vera modernità non sta nelle turbo-costituzioni che prevedano processi legislativi fast and furious, ma nel capire che i cittadini chiedono l’evoluzione da un modello meramente rappresentativo a uno partecipativo,
che non sia plebiscitario o ‘partecipato’ per ovazione.
D: L’Italia è pronta a un simile cambiamento?
R: La partecipazione è l’evoluzione del modello democratico, ed è normale che sia così quando raggiungono un livello tale di sensibilità democratiche che non si può fare a meno di ascoltarli. Il nostro modello rappresentativo è stato adottato quando la maggior parte della popolazione era analfabeta. Oggi la situazione è completamente diversa, tutti hanno una sensibilità democratica.
D: In questo senso, il Comitato per il No ha intenzione di portare avanti qualche controproposta, o comunque discuterne?
R: Stiamo pensando a una data per convocare una riunione dei comitati territoriali, e proprio nel rispetto dei principi democratici decideremo insieme. Noi comunque non siamo un partito politico. Siamo un gruppo di cittadini che chiedeva rispetto per lo spirito della Costituzione, partendo piuttosto da un suo rilancio.
D: A proposito di ‘cittadini’. È uno dei termini più usati dal Movimento 5 Stelle. Durante la campagna, avete avuto contatti con le altre forze del No, Lega Nord inclusa?
R: Combattevamo la stessa battaglia e abbiamo fatto degli incontri insieme. Ma non c’è stato nemmeno il tempo di pensare a un coordinamento, solo una comunanza d’intenti. Coordinare i nostri 700 comitati territoriali, oltre 100 comitati studenteschi e 37 all’estero, era un lavoro già complesso.
D: Avete seguito strategie differenti?
R: Ci siamo concentrati sulle attività sul territorio e non sulle riunioni che si fanno tra le varie forze. Non essendo noi un partito politico, abbiamo seguito logiche diverse. L’unica cosa che ci interessava era informare i cittadini che quella che veniva presentata come una riforma moderna, rispondeva in realtà alla logica estremamente conservatrice dell’uomo solo al comando.
D: I toni della campagna referendaria spesso sono stati eccessivi: come giudica il comportamento del comitato di cui è vicepresidente? C’è stata qualche intemperanza di cui si pente?
R: Personalmente no. Abbiamo dovuto rispondere a molte provocazioni, ma sempre mantenendo un tono pacato. Il nostro intento era informare, non fare polemica con i nostri interlocutori.
D: C’è chi accusa i promotori del no di aver aperto le porte alle forze populiste. Che cosa risponde?
R: Renzi ha dovuto dare le dimissioni per sua scelta e volontà, dopo aver deciso di personalizzare il referendum. Noi non gliel’abbiamo chiesto. Anzi, abbiamo trovato irresponsabile questa strategia, così come il ricatto strisciante che voleva coaptare il voto con la minaccia dell’instabilità. Tant’è che la Borsa non è crollata e nemmeno i mercati internazionali sembrano particolarmente scossi.
D: Che cosa avrebbe dovuto fare, invece, il Presidente del Consiglio?
R: Renzi avrebbe potuto rispettare maggiormente la volontà popolare, sedersi a un tavolo dopo aver preso atto del No espresso dagli italiani e cercare di smussare gli aspetti della riforma che non sono in sintonia con i principi della Costituzione. Lui, invece, è addirittura arrivato a dire che adesso tocca al No trovare una soluzione. Ma noi non siamo il Governo, è il Governo che deve trovare soluzioni e assumersene le responsabilità.
D: Le dimissioni non le sono piaciute quindi.
R: Né le dimissioni né il discorso, tutto concentrato su se stesso e volto a dimostrare il più velocemente possibile che lui non è attaccato alla poltrona. Dire «Vedetevela voi» non è un comportamento da leader responsabile, ma la conferma di uno stile di governare che non è né moderno né maturo. L’occasione l’ha persa il governo.
D: Ha chiesto un dibattito pubblico con il ministro Boschi, che non è avvenuto. Ha avuto modo di sentirla in privato?
R: Abbiamo chiesto più volte un incontro con la Boschi, ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Ed è grave che nessun esponente del governo abbia accettato il confronto con l’unico comitato civico, nonché il fronte più numeroso tra quelli del No.
D: Quali sono gli scenari che si aprono ora?
R: La palla passa alle forze politiche. Vedremo come vorranno giocarsi la partita e che cosa vorrà fare il Partito Democratico, se sarà disponibile a formare un nuovo governo. Inoltre occorrerà vigilare in questa fase sull’Italicum, che era uno dei punti deboli dell’assetto che andava a delinearsi.
D: La soluzione migliore secondo lei?
R: Auspico che ci sia un governo di persone responsabili che ascoltino i cittadini, affinché possano esprimersi democraticamente. E che, ripeto, metta mano all’Italicum, una legge con cui è difficile andare al voto. Ci vuole una legge che non sia né sub iudice né che violi l’uguaglianza e la libertà del voto. Come dice la Costituzione, la sovranità appartiene al popolo.
Chi sa ascoltarlo vince, chi non sa ascoltarlo perde.
D: E il suo futuro?
R: La priorità è la mia bambina, che sta per nascere.
D: Molti sostengono che potrebbe buttarsi in politica.
In passato ha aderito anche al progetto di Ingroia.
R: Rivoluzione civile era una lista di ispirazione civica. Un’esperienza che Ingroia ha scelto di capitanare alle elezioni, combattendo per gli stessi nostri valori. Io faccio l’apprendista costituzionalista, ho una carriera universitaria, faccio l’avvocato e mi occupo di diritto costituzionale. Tutte le mie esperienze hanno seguito questa direttrice.
D: Quindi continuerà a fare l’avvocato?
R: Sì, dedicando una parte del mio tempo a quelle battaglie civiche che hanno un connotato non partitico, ma politico nel senso che hanno una ricaduta sulle vite dei cittadini. Essere avvocato significa anche questo, ed è un’ottica che andrebbe riscoperta e maggiormente valorizzata. Perché la democrazia non è fatta di stagioni: la democrazia nasce dall’impegno costante di tutti. Solo dedicandoci tutti, ognuno secondo le proprie possibilità, alle battaglie sociali e civili potremo elevare il livello di democraticità.

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