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sabato 9 luglio 2016

Expo 2015, le mani di Cosa Nostra sugli appalti


Ci sono notai e commercialisti dalla fama rispettabile che però, come fossimo in un paesino della Sicilia nei primi anni Novanta, si piegano alla legge dell’omertà e “fanno finta di non vedere”. Ci sono imprenditori opportunisticamente vicini, anzi vicinissimi, a personaggi chiave di quel ramo di Cosa Nostra che risponde al nome del clan di Castelvetrano. E infine ci sono società pubbliche di peso internazionale che dovrebbero indire gare altrettanto pubbliche e che invece - alla faccia della trasparenza - decidono loro personalmente a chi assegnare i lavori. Alimentando un fiume di contanti che da Milano a Caltanissetta viaggia a bordo di camion, auto e persino gommoni.

Che Expo 2015 abbia rappresentato per molti un’occasione d’oro da non farsi sfuggire è cosa nota a tutti. Che molto spesso, in nome di questa occasione d’oro, qualcuno sia arrivato a fare patti con il diavolo era il sospetto di molti. Ma a leggere l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Cristina Mannocci - che ha portato all’arresto di 11 persone e al sequestro di oltre un milione di euro - il quadro va ben oltre l’aspetto penale ancora tutto da dimostrare: “Quello che emerge è un meccanismo – si legge nelle carte - reso possibile da amministratori di aziende di non piccole dimensioni, consulenti, notai e commercialisti che, in sostanza, non hanno voluto vedere quello che accadeva intorno a loro e il cui atteggiamento va oltre la connivenza”.

Parole pesanti che – secondo la sezione Antimafia della Procura di Milano diretta dal sostituto procuratore Ilda Boccassini - legano a doppio filo gli interessi di uomini d’affari considerati “insospettabili” e quelli di personaggi di spicco della mafia siciliana come la famiglia Accardo ritenuta dagli inquirenti vicina al super latitante Matteo Messina Denaro, sospettati di associazione a delinquere finalizzata a favorire gli interessi di Cosa Nostra a Milano.

A uomini legati alla mafia siciliana infatti – secondo le ipotesi della Procura – sarebbe riconducibile un consorzio di cooperative che è riuscito a ottenere lavori importanti in quattro padiglioni di Expo 2015. Fra queste la Dominus Scarl di Giuseppe Nastasi e del suo collaboratore Liborio Pace, entrambi arrestati insieme all’ex presidente dela Camera Penale di Caltanissetta Danilo Tipo. Le indagini della Guardia di Finanza, però, soprattutto, puntano a vedere chiaro sui rapporti fra la Dominus Scarl e la Nolostand Spa, società che si occupa degli stand nei siti epositivi interamente controllata da Fiera Milano e che ora è stata commissariata dal giudice Fabio Roja. In pratica, Fiera Milano delegava alla controllata Nolostand la realizzazione delle opere necessarie all’esposizione universale. E quest’ultima – forte appunto di legami solidi con il consorzio - assegnava gran parte dei lavori alla Dominus che era amministrata da prestanome, ma di fatto riconducibile a Giuseppe Nastasi e Liborio Pace.

I presunti affiliati mafiosi, infatti, stando alle indagini “intrattenevano costanti rapporti con i dirigenti e gli organi di vertice della Nolostand, al fine di ottenere l’aggiudicazione o di assicurarsi il rinnovo dei contratti di appalto dei servizi di trasporto e facchinaggio dei siti fieristici”. “Pace e Nastasi – scrive il magistrato - avevano quali interlocutori privilegiati Enrico Mantica, in qualità di direttore tecnico ed ex amministratore delegato di Nolostand spa, per la risoluzione di problematiche lavorative e Marco Serioli, amministratore delegato di Nolostand spa”.

La controllata di Fiera Milano – ha sottolineato la Boccassini – per assegnare i lavori non ha neppure indetto una gara pubblica. E non era tenuta a farlo, certo. Il regolamento parla chiaro. Solo che stando alle carte, la Nolostand non si sarebbe neppure accorta che sia Nastasio che Pace (quest’ultimo arrestato nel 2010 per un giro di riciclaggio di denaro dal Belgio alla Lombardia ma poi assolto) sono imparentati con persone condannate per mafia e ‘ndrangheta.
Un rapporto talmente stretto, quello fra le due società, che Calogero Nastasi (padre del principale indagato Giuseppe) aveva “legittimamente” un ufficio in Fiera Milano in quanto amministratore di diritto del consorzio Dominus riconducibile, invece, di fatto, al figlio.

“Proprio in virtù del rapporto imprenditoriale e commerciale con Nolostand – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – la società consortile siciliana ha affettuato lavori di allestimento e smontaggio per Expo 2015 sia direttamente che attraverso società consorziate”. Lavori per quasi 20 milioni di euro dal 2013 ad oggi. Che avrebbero interessato in particolare i padiglioni di Francia e Qatar, della Guinea Equatoriale, il Palazzo Congressi, l’Auditorium e lo stand della Birra Poretti. Un fiume di denaro che sarebbe transitato, in nero, da Milano fino alla Sicilia attraverso buste di plastica nascoste nei camion ma anche in canotto. “C’erano imprenditori che pagavano operai per farsi costruire in casa veri e propri imboschi per il denaro contante”, ha spiegato il sostituto procuratore Ilda Boccassini.

E poi, ovviamente, i reati connessi: fondi neri, operazioni estere, evasione fiscale. “Le organizzazioni criminali – secondo il procuratore capo di Milano Francesco Greco - sono riuscite a inserirsi nelle partecipate pubbliche. Questa è una circostanza inquietante”. Un meccanismo “desolante” – scrive ancora il gip - con “logiche e, soprattutto, condotte che si presentano in territorio lombardo con le stesse modalità con cui, da oltre un secolo, si manifestano in territorio siciliano”.
Gli ingranaggi perché i vertici di Fiera Milano comincino a tremare, insomma, ci sono tutti. Nonostante allo stato attuale nessuno di loro risulti indagato.

E mentre il neo sindaco di Milano ed ex commissario unico di Expo 2015 Giuseppe Sala oggi ha speso parole di ringraziamento nei confronti dei magistrati che hanno scoperchiato l’ennesimo scandalo giudiziario sull’esposizione universale, il pool antimafia della Procura di Milano fa già trapelare la sua prossima mossa: mettere le mani sui conti correnti esteri riconducibili agli 11 arrestati in Slovenia, Slovacchia e in Liechtenstein.

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