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domenica 22 novembre 2015

Arabia Saudita è capo del Consiglio diritti umani Onu



A Riyad sono state 114 le pene capitali eseguite nei primi otto mesi dell’anno, ma nonostante questo l'ambasciatore saudita, Faisal bin Hassan Trad, sarà al vertice dell'organismo nel 2016. Al centro la partita dei conflitti in Medio Oriente, tra Siria, Yemen e Iran

Il 2015 potrebbe diventare un anno record per esecuzioni in Arabia Saudita: 114 nei primi otto mesi dell’anno secondo l’Ong Nessuno Tocchi Caino. Almeno 90 quelle del 2014, con il Paese preceduto solo da Cina e Iran. Numeri che non hanno impedito però alle Nazioni Unite di nominare l’ambasciatore saudita, Faisal bin Hassan Trad, a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu nel 2016. Una decisione che è stata fortemente criticata da subito a causa anche della recente decisione della monarchia di condannare a morte il 20enne Ali Mohammed Al Nimr, arrestato a soli 17 anni per aver partecipato a una manifestazione contro il regno saudita, e dei bombardamenti indiscriminati che l’esercito sta portando avanti in Yemen e che hanno provocato migliaia di vittime civili. La scelta dell’Onu, però, si inserisce in un contesto, quello mediorientale, in cui la coalizione a guida statunitense ha bisogno di portare dalla sua parte il maggior numero di attori protagonisti per risolvere il conflitto yemenita e, soprattutto, quello siriano.

I sauditi tra i primi posti al mondo per esecuzioni - Sono centinaia i condannati uccisi dalla spada dei boia sauditi negli ultimi dieci anni. Dopo un periodo in cui si decise di limitare il ricorso alla pena capitale, dal 2011 le esecuzioni sono tornate a registrare numeri intorno al centinaio ogni anno. Un trend che non accenna a invertirsi, dato che nei primi mesi del 2015 sono già 114 le persone uccise. Con numeri del genere, il Paese è tra i primissimi al mondo per numero di esecuzioni.

Lapidazione, impiccagione e, soprattutto, decapitazione in pubblico – Sono queste le tecniche di esecuzione previste dalle leggi saudite. E tra i reati punibili con la pena di morte ci sono, oltre all’omicidio, anche adulterio, sodomia e omosessualità. Sono proprio i gay, come si legge in numerosi report di organizzazioni umanitarie che si occupano di diritti umani, una di quelle categorie di persone che vedono quotidianamente violati i propri diritti. Un’altra è quella dei lavoratori provenienti dai Paesi più poveri dell’Asia Centrale e del sud-est asiatico, ridotti in schiavitù, costretti a lavorare in condizioni inumane, senza diritti, garanzie, privati di cibo e acqua e vittime di violenze. Anche per le donne, il cui processo di emancipazione procede molto lentamente, le discriminazioni di genere rimangono forti: possono studiare e laurearsi, ma spesso il vero scoglio si ha al momento dell’accesso al lavoro. Ci sono donne che ricoprono anche incarichi di alto livello all’interno delle aziende del Paese, ma sono generalmente appartenenti a un élite sociale ed economica.

I casi recenti: 20enne condannato a decapitazione e crocifissione perché oppositore - Nemmeno i recenti casi denunciati dalle organizzazioni in difesa dei diritti umani hanno impedito a Faisal bin Hassan Trad di ricevere l’incarico da parte delle Nazioni Unite. Il più recente riguarda Ali Mohammed Al Nimr, figlio di un oppositore politico e arrestato appena 17enne per aver partecipato a una manifestazione contro la monarchia saudita con l’accusa di detenzione illegale di armi. A 20 anni è stato condannato alla pena capitale per decapitazione e successiva crocifissione fino alla putrefazione. Il caso di Ali ha smosso l’opinione pubblica internazionale che da giorni chiede l’annullamento della condanna per un ragazzo colpevole di aver manifestato il proprio dissenso verso il regime quando era ancora minorenne.

Una storia che, per alcuni aspetti, ricorda quella di Raif Badawi, blogger saudita accusato di apostasia per le sue pubblicazioni riguardo al rapporto tra politica e religione nel Paese. Quegli scritti, pubblicati su Internet, gli sono costati una condanna a dieci anni di reclusione, mille frustate e 267mila dollari (circa 240mila euro, ndr) di multa. Pena che l’uomo ha già iniziato a scontare.

Le accuse rivolte a Riyad riguardano anche le operazioni militari svolte dalla coalizione a guida saudita nell’ambito del conflitto yemenita che, scrive Amnesty International nel suo ultimo report, fino a oggi ha causato 4mila morti, di cui la metà civili, soprattutto donne e bambini. I soldati di Re Salman sono accusati di aver usato bombe a grappolo e altri ordigni in maniera indiscriminata contro obiettivi civili, contribuendo ad alzare il numero delle vittime nel conflitto.

Riyad fondamentale nella riorganizzazione dello scacchiere mediorientale – La nomina arriva però in un momento cruciale per il futuro di tutta la regione. Dopo gli accordi sul nucleare tra Iran e 5+1 che hanno fatto storcere il naso ai reali sauditi, il blocco occidentale, con a capo gli Stati Uniti, sta cercando di riportare dalla propria parte quegli Stati fondamentali per la soluzione dei conflitti nell’area, primi su tutti quello yemenita e, soprattutto, quello in Siria. E tra gli interlocutori più importanti con i quali Washington dovrà confrontarsi ci sono proprio le petromonarchie del Golfo, con a capo l’Arabia Saudita. Partner economico e politico strategico per l’Occidente, Riyad ascolterà le richieste del presidente Barack Obama sulla questione siriana. Sul tavolo della monarchia arriveranno, tramite l’inquilino della Casa Bianca, anche le richieste di Russia e Iran, Paesi con i quali si dovrà trovare un accordo per dare il via al processo di pace e di transizione nel Paese.

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