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Mundimago

martedì 11 agosto 2015

L’Autonomia Siciliana Va Abolita


«L’autonomia siciliana va abolita»
Parla il vicepresidente di Confindustria: «Al Sud i sussidi fanno male. Puntiamo su istruzione e banda larga. E piantiamola di essere parassiti»


«Il sud non ha bisogno di sussidi e trasferimenti, ma di normalità». Ne è convinto, Ivan Lo Bello, imprenditore, presidente di Unioncamere, vicepresidente di Confindustria, balzato alle cronache qualche anno fa, quando alla guida di Confindustria Sicilia lanciò una sfida molto provocatoria ai suoi colleghi, invitando a lasciare l'associazione chiunque pagasse il pizzo. Uno, insomma, che certo non è abituato a quei piagnistei che secondo il premier Matteo Renzi sono uno dei mali del mezzogiorno. Lo Bello non si sente minimamente offeso dalle parole del presidente del Consiglio: «Al sud si è creato un blocco sociale parassitario molto forte e solo il mercato, le regole, la concorrenza, l’efficienza della burocrazia, la qualità del ceto politico, la capacità degli imprenditori possono scardinarlo». Niente scuse, insomma. Anzi, Lo Bello si spinge oltre, parlando della sua Sicilia: «Lo statuto speciale andrebbe abolito. Non ha senso, è ciò che ci ha reso parassiti».
Lo Bello, lo Svimez dice che il mezzogiorno è in crisi, Renzi dice che deve smettere di piangersi addosso, Saviano si addolora. Chi ha ragione, secondo lei?
Secondo me tutto questo dibattito non riesce a cogliere fino in fondo la questione vera del mezzogiorno.
Quale?
Che il sud non ha bisogno di chissà quali politiche, di sussidi, di trasferimenti. Il sud ha bisogno di una sana normalità rispetto al resto del paese. Direi che possiamo rottamare un bel pezzo di analisi sul mezzogiorno, soprattutto quelle che guardano con nostalgia a modelli che ricordano la cassa del mezzogiorno e che hanno fatto molto male al sud. Anche perché questi modelli non hanno fatto che acuire la crisi e la distanza dal centro e dal nord del paese.
Lei parla di normalità, ma come la traduce all'atto pratico?
In sei parole: serve una sana cultura di mercato
«Ciò che impedisce al sud di essere normale è la somma di tante distorsioni, ma alla base di tutte c'è l'idea malsana che per sopravvivere basti mettere in campo una spesa pubblica generale senza idee e progetti»
E come si crea una sana cultura di mercato, al sud?
Negli ultimi decenni, nel mezzogiorno, si è creato un blocco sociale molto forte, fatto di politica clientelare, di imprese che non vogliono competere, più in generale di tutti quelli che hanno paura dell'innovazione e della voglia di cambiare. Per creare una sana cultura di mercato dobbiamo far saltare questo blocco sociale. Ciò che impedisce al sud di essere normale è la somma di tante distorsioni, ma alla base di tutte c'è l'idea malsana che per sopravvivere basti mettere in campo una spesa pubblica generale senza idee e progetti.
Mi sa che non è semplice far saltare questo blocco sociale…
Oggi, in teoria è il momento giusto.
Come mai?
Perché abbiamo toccato il fondo. E questo blocco sociale continua a ballare sul Titanic senza capire che la mancanza di risorse e il degrado civile e sociale ci porteranno rapidamente al naufragio. Tuttavia, proprio per questo è ancora più forte la sua resistenza. Sono asserragliati nel bunker. Per questo serve l'impegno, il coraggio e la radicalità di chi al sud fa innovazione politica, sociale, culturale, imprenditoriale. E soprattutto di tutte quelle persone che stanno nel mezzo e che magari, pur non facendo parte di un blocco clientelare, hanno paura di contrastarlo. È a loro che dico di non aver né paura, né nostalgia dell'assistenzialismo, perché ci ha fatto solo male.
«Io sono molto rispettoso nei confronti del sindacato, ma quel che è successo a Pompei è al di là di ogni immaginazione. Mi sarei aspettato prese di posizioni molto più dure dai vertici sindacali. Se diamo fiato agli stereotipi sulla nostra inaffidabilità siamo finiti»
Di quel che è successo a Pompei, invece, che ne pensa?
È una vergogna. Tutto quello che è successo negli ultimi giorni, con l'assemblea sindacale e i turisti ad aspettare fuori, è lo specchio alla nostra inattitudine al mercato. Dà il segno di una totale irresponsabilità e incomprensione del momento storico che stiamo vivendo. Io sono molto rispettoso nei confronti del sindacato, ma quel che è successo a Pompei è al di là di ogni immaginazione. Mi sarei aspettato prese di posizioni molto più dure dai vertici sindacali. Se diamo fiato agli stereotipi sulla nostra inaffidabilità siamo finiti.
Anche perché dall'altra parte dell'Adriatico, nei balcani, ci sono concorrenti in ascesa come l'Albania...
Stanno crescendo molto perché hanno meno vincoli e guardano al futuro, emntre noi continuiamo ad andare avanti con lo sguardo rivolto al passato. Il nostro grande problema è il modello parassitario e clientelare, non i concorrenti. Siamo impiombati perché le clientele hanno assorbito tutte le risorse. Se tu spendi risorse che non hai creato, sei alla frutta.
C'è un convitato di pietra, in questo ragionamento. E immagino che sappia, lei che si è scagliato contro il pizzo, di chi sto parlando...
In fondo è come se ne avessimo già parlato. Quel blocco sociale parassitario di cui dicevo prima, in stragrande maggioranza non è mafioso, ma  - spiace dirlo - con la mafia condivide parecchi valori. Anche la presenza mafiosa è parassitaria e anche alla mafia piacciono le clientele, l'idiosincrasia alle regole, la spesa pubblica. Anche la mafia, in altre parole, è ostile a quel sistema di mercato che ne cancellerebbe buona parte dei vantaggi e delle rendite di posizione. Pur con tutte le differenze del caso, sono due mondi che vanno a braccetto.


«Il sud non ha bisogno di sussidi e trasferimenti, ma di normalità». Ne è convinto, Ivan Lo Bello, imprenditore, presidente di Unioncamere, vicepresidente di Confindustria, balzato alle cronache qualche anno fa, quando alla guida di Confindustria Sicilia lanciò una sfida molto provocatoria ai suoi colleghi, invitando a lasciare l'associazione chiunque pagasse il pizzo. Uno, insomma, che certo non è abituato a quei piagnistei che secondo il premier Matteo Renzi sono uno dei mali del mezzogiorno. Lo Bello non si sente minimamente offeso dalle parole del presidente del Consiglio: «Al sud si è creato un blocco sociale parassitario molto forte e solo il mercato, le regole, la concorrenza, l’efficienza della burocrazia, la qualità del ceto politico, la capacità degli imprenditori possono scardinarlo». Niente scuse, insomma. Anzi, Lo Bello si spinge oltre, parlando della sua Sicilia: «Lo statuto speciale andrebbe abolito. Non ha senso, è ciò che ci ha reso parassiti».
Lo Bello, lo Svimez dice che il mezzogiorno è in crisi, Renzi dice che deve smettere di piangersi addosso, Saviano si addolora. Chi ha ragione, secondo lei?
Secondo me tutto questo dibattito non riesce a cogliere fino in fondo la questione vera del mezzogiorno.
Quale?
Che il sud non ha bisogno di chissà quali politiche, di sussidi, di trasferimenti. Il sud ha bisogno di una sana normalità rispetto al resto del paese. Direi che possiamo rottamare un bel pezzo di analisi sul mezzogiorno, soprattutto quelle che guardano con nostalgia a modelli che ricordano la cassa del mezzogiorno e che hanno fatto molto male al sud. Anche perché questi modelli non hanno fatto che acuire la crisi e la distanza dal centro e dal nord del paese.
Lei parla di normalità, ma come la traduce all'atto pratico?
In sei parole: serve una sana cultura di mercato
«Ciò che impedisce al sud di essere normale è la somma di tante distorsioni, ma alla base di tutte c'è l'idea malsana che per sopravvivere basti mettere in campo una spesa pubblica generale senza idee e progetti»
E come si crea una sana cultura di mercato, al sud?
Negli ultimi decenni, nel mezzogiorno, si è creato un blocco sociale molto forte, fatto di politica clientelare, di imprese che non vogliono competere, più in generale di tutti quelli che hanno paura dell'innovazione e della voglia di cambiare. Per creare una sana cultura di mercato dobbiamo far saltare questo blocco sociale. Ciò che impedisce al sud di essere normale è la somma di tante distorsioni, ma alla base di tutte c'è l'idea malsana che per sopravvivere basti mettere in campo una spesa pubblica generale senza idee e progetti.
Mi sa che non è semplice far saltare questo blocco sociale…
Oggi, in teoria è il momento giusto.
Come mai?
Perché abbiamo toccato il fondo. E questo blocco sociale continua a ballare sul Titanic senza capire che la mancanza di risorse e il degrado civile e sociale ci porteranno rapidamente al naufragio. Tuttavia, proprio per questo è ancora più forte la sua resistenza. Sono asserragliati nel bunker. Per questo serve l'impegno, il coraggio e la radicalità di chi al sud fa innovazione politica, sociale, culturale, imprenditoriale. E soprattutto di tutte quelle persone che stanno nel mezzo e che magari, pur non facendo parte di un blocco clientelare, hanno paura di contrastarlo. È a loro che dico di non aver né paura, né nostalgia dell'assistenzialismo, perché ci ha fatto solo male.
«Io sono molto rispettoso nei confronti del sindacato, ma quel che è successo a Pompei è al di là di ogni immaginazione. Mi sarei aspettato prese di posizioni molto più dure dai vertici sindacali. Se diamo fiato agli stereotipi sulla nostra inaffidabilità siamo finiti»
Di quel che è successo a Pompei, invece, che ne pensa?
È una vergogna. Tutto quello che è successo negli ultimi giorni, con l'assemblea sindacale e i turisti ad aspettare fuori, è lo specchio alla nostra inattitudine al mercato. Dà il segno di una totale irresponsabilità e incomprensione del momento storico che stiamo vivendo. Io sono molto rispettoso nei confronti del sindacato, ma quel che è successo a Pompei è al di là di ogni immaginazione. Mi sarei aspettato prese di posizioni molto più dure dai vertici sindacali. Se diamo fiato agli stereotipi sulla nostra inaffidabilità siamo finiti.
Anche perché dall'altra parte dell'Adriatico, nei balcani, ci sono concorrenti in ascesa come l'Albania...
Stanno crescendo molto perché hanno meno vincoli e guardano al futuro, emntre noi continuiamo ad andare avanti con lo sguardo rivolto al passato. Il nostro grande problema è il modello parassitario e clientelare, non i concorrenti. Siamo impiombati perché le clientele hanno assorbito tutte le risorse. Se tu spendi risorse che non hai creato, sei alla frutta.
C'è un convitato di pietra, in questo ragionamento. E immagino che sappia, lei che si è scagliato contro il pizzo, di chi sto parlando...
In fondo è come se ne avessimo già parlato. Quel blocco sociale parassitario di cui dicevo prima, in stragrande maggioranza non è mafioso, ma  - spiace dirlo - con la mafia condivide parecchi valori. Anche la presenza mafiosa è parassitaria e anche alla mafia piacciono le clientele, l'idiosincrasia alle regole, la spesa pubblica. Anche la mafia, in altre parole, è ostile a quel sistema di mercato che ne cancellerebbe buona parte dei vantaggi e delle rendite di posizione. Pur con tutte le differenze del caso, sono due mondi che vanno a braccetto.


Se lei fosse il consigliere di Renzi per il sud quali sarebbero le prime tre cose che gli consiglierebbe di fare?
Io non credo alla defiscalizzazione o agli incentivi. Possono essere utile nel breve termine, non certo nel medio-lungo periodo. Per prima cosa abbiamo bisogno di buone infrastrutture.
Strade, quindi?
No, la prima vera e più urgente infrastruttura è la banda larga. Molto più delle strade, che comunque sono da terzo mondo, così come la mobilità ferroviaria. Pensi alla Sicilia, che è enorme e ha una rete ferroviaria da terzo mondo.
«Ormai i ragazzi, già da studenti. scappano al centro o al nord. Una migrazione che sta depopolando il sud della sua vera forza, le persone. Possiamo fare tutte le infrastrutture che vogliamo, ma non serviranno a nulla se il sud rimane una terra di pensionati»
La seconda priorità?
Noi oggi abbiamo un enorme problema legato alla formazione. Negli ultimi anni c'è stata una fuga enorme di ragazzi dalle università del sud. Non do giudizi di merito: qui ci sono tante università di grande qualità. Eppure ormai i ragazzi, già da studenti. scappano al centro o al nord.  Una migrazione, questa, che sta depopolando il sud della sua vera forza, le persone, i cervelli. Possiamo fare tutte le infrastrutture che vogliamo, ma non serviranno a nulla se il sud rimane una terra di pensionati. Serve un grandissimo investimento sulla scuola, per bloccare questo flusso in fuga. Che è fondamentale per aiutare le imprese a svilupparsi. Pensi al distretto della meccatronica di Bari, che è un’eccellenza nazionale e che è nato grazie al Politecnico di Bari.
Veniamo alla terza e ultima priorità…
Dobbiamo asciugare tutto quel grumo di sussidi e clientele che è la pubblica amministrazione. Dobbiamo asciugare il governo territoriale.
«L’autonomia è stato lo strumento peggiore per costruire il disastro siciliano. Le parti più retrive del nostro sistema sono tutte dentro l'apparato regionale, un mostro clientelare con 120mila dipendenti pubblici»
Domanda cattiva: sta parlando anche dell'autonomia siciliana?
Soprattutto di quella. La retorica sull'autonomia è fastidiosissima. Io sono convinto che lo statuto speciale per la Sicilia avesse senso alla fine della Seconda guerra mondiale. Dagli anni '60 in poi è diventato lo strumento peggiore per costruire il disastro siciliano. Le parti più retrive del nostro sistema sono tutte dentro l'apparato regionale, un mostro clientelare con 120mila dipendenti pubblici. La Sicilia è molto meglio di quella cosa lì. Il sud, in generale, è meglio di quella cosa lì.




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