Le Carte Parlanti

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Mundimago

mercoledì 11 giugno 2014

Expo Milano


 no grazie

Tutti seduti su sedie immaginarie intorno a una tavola preparata coi piatti non ancora impegnati al Monte, ma vuoti, la famiglia nazionale decide il tutto per tutto: sposare la figlia, accasarla con il possidente ignorante, volgare, ma benestante, in modo d astringere un vincolo che un domani chissà.. porti altri matrimoni, aiuti compassionevoli, abbonamento di qualche debito. Così vanno dai cravattari, fanno i “buffi”, si vestono e impennacchiano, impegnano la catenina della Comunione e affittano la villa, chiamano cuochi e pasticceri per il sontuoso fidanzamento, invitano parenti e conoscenti per l’ostensione del lusso provvisorio, dell’opulenza occasionale che nasconde, crepe, fame, umiliazione. Come in una commedia di Scarpetta pare che non sia più possibile sospendere le nozze. E mica vorremo farci riconoscere: adesso è urgente e irrinunciabile fare un po’ di fuffa, far vedere che siamo per bene, che manteniamo gli impegni, che a mille regole mai rispettate ne aggiungeremo altre festosamente e fortunatamente inattuabili per complessità e severità, che laddove si aggiunge è bene togliere. Quindi se si addizionano altre leggi, basta poi levare controllori, limarne i compiti, tagliare con l’accetta lacci e laccioli, che pare paradossalmente che sia la troppa vigilanza a alimentare il malaffare, gli ostacoli a suscitare una gran voglia di aggirarli, i sorveglianti, soprattutto se ligi e onesti a eccitare malignamente trasgressione e peccato. Eh si è sufficiente sostituire l’eccesso di burocrazia con autorità autorevoli, decisori decisionisti, poteri onnipotenti, particolarmente graditi se assumono un valore simbolico e se vantano curriculum e referenze in magistratura come garanzia. È irrinunciabile semplificare, operando opportune chirurgie, sovrintendenze,organismi di controllo, convertire i silenzi assensi in generosi consensi, tutto ben indirizzato in modo da elargire poco bastone e molte carote a chi ha sbagliato si, ma ha l’attenuante di aver dovuto farsi largo nella giungla amministrativa, frutto di antichi regimi arcaici e misoneisti. Insomma indietro non si torna e questa Expo s’ha da fare, la mostra, come una sacra reliquia della nostra tradizione, la esibizione in una prestigiosa vetrina delle nostre produzioni, deve far dimenticare la vergogna di un paese consegnato alla criminalità, tutta equamente organizzata, spesso alleata nelle sue diverse forme: mafie, aziende legali quanto informali, istituzioni finanziarie, amministrazioni pubbliche poteri ai vari livelli territoriali. E non importa se in virtù della idolatrata globalizzazione e delle labirintiche regole europee, la purezza e l’origine dei nostri frutti sono un puro artificio scenico, se il nostro territorio è talmente contaminato, avvelenato, intossicato da far guardare agli Ogm, peraltro presenti sulle nostre tavole da sempre, come a una garanzia di “verginità”, se è preferibile il siero tedesco al latte delle bufale gonfiate dagli ormoni o pascolanti nell’ex Campania Felix ridotta a Terra dei Fuochi.

Eh si the show must go home e sotto all’effigie di Ho Chi Min l’inossidabile guappo, ora nelle vesti di castigamatti, perora l’invito al grande evento, già peraltro declinato da ospiti più ragionevoli, nella convinzione risibile che si possa fare come nelle liquidazioni, mettendo in vetrina prodotti civetta o una fidanzata impennacchiata e truccata per nascondere le magagne, per attrarre i compratori. L’ aveva fatto Monti, l’aveva fatto Letta, commessi viaggiatori corsi in emirati, imperi, regni, col campionario in valigia e il cappello in mano, a comprare compratori, partecipando agli acquisti pur di convincerci che stavano lavorando per noi e i padroni dentro e fuori Italia di essere servitori zelanti.

Invece un Paese che volesse mostrare di riscattarsi, l’Expo proprio non dovrebbe farla. Non dovrebbe abbonare il maltolto al Maltauro, a Elios, alla Cmc, alla Piastra coi soliti Galan e Matteoli, non dovrebbe cedere al ricatto delle Grandi Opere volute da una cupola sovranazionale che mira a indebitare sempre più lo Stato per ricattarlo e costringerlo alla cessione di sovranità e democrazia, non dovrebbe rappresentarci un evento di cartapesta come motore di occupazione, quando in fase di realizzazione si consuma la perfetta attuazione del lavoro irregolare, precario, sottopagato, non garantito, e poi, durante la kermesse quella del lavoro dequalificato, mobile, occasionale.

Un governo attento oltre che all’interesse generale, alla sua credibilità fuori dai confini ddi quello che ormai è considerato un molesto Terzo Mondo in Europa, da mungere e disprezzare, dovrebbe avere la forza di riscattarsi con la rinuncia a un’opera inutile, destinando e non simbolicamente investimenti, sostegno internazionale, aiuti al risanamento e alla manutenzione di Pompei, dirottando i fondi alla realizzazione degli interventi necessari alla disattivazione degli impianti inquinanti e alla bonifica del sito industriale e delle zone limitrofe dell’Ilva di Taranto. Che quelle sono le nostre vergogne, non la chiusura di un cinema dove si proietta un vecchio cinepanettone.

A. Lombroso per il Simplicissimus  http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/

Mose, Expo, Tav: grandi opere, truffe giganti

Speculazione, tangenti e corruzione per Expo 2015 come per il Mose. E tornando indietro nel tempo, per tutte ma proprio tutte le grandi opere del passato più o meno recente. Ogni volta il copione si ripete. Da quando? Da quando ho memoria di giornalista. E lo schema è sempre uguale: prima l’evento con un’attesa mediatica forte, poi la ricchissima speculazione con una spartizione politica e affaristica consociativa (questo è importante). Risultato? Grandi opere inutili o da rottamare in pochi anni, pagate profumatamente con i soldi nostri, realizzate quasi unicamente per foraggiare imprese, arricchire potentati e garantire carriere politiche. E anche quando non si tratta di opere non pubbliche lo schema non si discosta: distruzione del territorio, rapina dei diritti della collettività a vantaggio di pochi. Con la politica complice, in mano a personaggi le cui campagne elettorali vengono pagate direttamente da chi dovrà realizzare affari. Manca un elemento comune in tutte le storie degli ultimi trent’anni almeno: l’effetto sorpresa che sorge nel cuore leggendo i giornali quando le indagini rivelano la truffa. Ogni volta che la magistratura sposta una pietra scopre che sotto c’è questa melma di speculazione, affari privati e politici compiacenti: e ogni volta sembra sia un’eccezione caduta per caso dal cielo. E non la regola di un modo di fare che parte dal piccolo favore, al favorito, al favoretto del salottino di lobby per arrivare alla rapina legalizzata in salsa neoliberista. E questa regola si poggia su un apparato militare potente e rodato, costituito dai media: un coro muto nella denuncia dei potenti, sonoro e fragoroso nel cantarne le imprese, nel costruire nell’opinione pubblica certezze scintillanti e consenso anche su temi che i cittadini dovrebbero respingere, difendendo il proprio interesse collettivo. Con ovvie eccezioni. In questo caso eccezioni.

Eppure, fuori dall’arena mediatica, dal salottino dei soliti noti in tv, c’è la vita reale. Ci sono i quartieri, i cittadini, chi si batte per i diritti e contro l’ingiustizia che sempre più innerva il Paese. La realtà è più ricca di come viene rappresentata. Sono le associazioni che adesso possono dire: l’avevamo detto. Ma che per anni sono state ignorate. A Milano per Expo, come per Mose, e per le grandi navi che deturpano Venezia, per il Tav. Per tutte le operazioni discutibili che rappresentano l’asse portante del potere vero e intoccabile, di quel sistema di affari e di arricchimenti che sta devastando il Paese da trent’anni almeno e che non è figlio del berlusconismo, lo precede. E anche quando imperava Silvio, e l’opposizione chiudeva un occhio sui fatti essenziali, la lobby degli affari consociativi regnava indiscussa.

Il problema è che non dovrebbe essere la magistratura, di tanto in tanto, a beccare reati delle amministrazioni. In una democrazia l’opposizione dovrebbe vigilare sui comportamenti e le decisioni della maggioranza, non consociarsi per spartirsi la torta. Una democrazia è forte solo se è forte l’opposizione. E l’opposizione ha senso se chi è stato eletto rappresenta interessi sociali sul territorio che si discostano dall’interesse personale dei finanziatori dell’ascesa politica. Altrimenti parliamo di niente. Possiamo stare mesi e mesi a sentire inutili confronti indivanati in tv, senza che mai venga messo in discussione il sistema marcio di spartizione dei beni collettivi, quindi di rapina. Per esempio, restando a casi ancora non toccati dalla magistratura, sarebbe interessante capire meglio l’Operazione Tav, che vede tutti dalla stessa parte: partiti, imprese, media. Tutti che parlano con una voce sola, e nessuno, a parte gli abitanti della Val Susa, che si oppone o controlla. O la volgare cementificazione dell’area verde a ridosso di Villa Adriana, patrimonio dell’Unesco a Tivoli. O, cambiando radicalmente settore di interesse, la scuola pubblica abbandonata e ignorata a vantaggio delle private.

Allora la questione è anche questa. Se i cittadini non hanno rappresentanza e voce, che cosa devono fare per tutelare i diritti collettivi? Che cosa devono fare per non farsi calpestare dalla dittatura finanziaria? Dallo stravolgimento della democrazia che è uno straccio di parola in mano al Capitale? Che devono fare per impedire che i partiti, uno dopo l’altro, diventino proprietà privata di persone o di potentati ricchissimi? Che devono fare per far prevalere una visione del futuro migliore per tutti e non arrendersi alla rapacità di un presente che uccide la speranza dei nostri figli? O anche per non diventare mugugno di manovra nelle mani di chi con operazioni di populismo e marketing esaspera la crisi per creare un rumore di fondo senza prospettive? Io penso sia giusto riprendere la parola, uscendo dalle chat. Riprendere l’azione, partendo dalla partecipazione. Riprendersi la conoscenza: sapendo che l’informazione è il pane per nutrire la libertà. E sapendo che fare del pensiero un’azione è fatica.

   Mose, Expo, Tav: grandi opere, truffe giganti 
http://asud.net/mose-expo-tav-grandi-opere-truffe-giganti/
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