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domenica 2 febbraio 2014

Il decreto IMU - Banca d'Italia


Il decreto IMU - Banca d'Italia

Si tratta di stabilire se, pur di non pagare l'IMU, gli italiani saranno costretti a sborsare somme ancora più rilevanti nel medio e lungo termine, per salvare banche in crisi, 
con la copertura di Bankitalia.
 Il problema maggiore è che esiste un clamoroso
 e non risolto conflitto di interessi che affligge Bankitalia.


Il decreto non riguarda solo l'IMU, ma prevede un aumento di capitale diretto a salvare le banche azioniste di Bankitalia, a danno dei cittadini. Si tratta di una scandalosa rivalutazione delle quote di Bankitalia da 156.000 euro a 7.5 miliardi di euro: una donazione miliardaria alle banche a spese dei cittadini , che aumenterà il valore patrimoniale delle partecipazioni delle banche proprietarie della Banca d'Italia. Per cui sembra sacrosanta la battaglia parlamentare del M5S contro il decreto ,nel silenzio di coloro che dimenticano che la Carta si difende anche tutelando i risparmiatori e le piccole e medie imprese .

Banca d'Italia non è una istituzione pubblica autonoma e garante solo dei diritti dei risparmiatori, ma un soggetto controllato da privati . Azionisti della Banca d'Italia sono Intesa San Paolo, Unicredit, MPS, INPS, Carige e altre Casse di Risparmio, istituti alcuni dei quali coinvolti negli scandali che hanno avuto come vittime ignari cittadini. A guardare la borsa, dei cinque peggiori titoli del 28 gennaio 2014 , ci sono anche banche azioniste della Banca d'Italia, come il Monte Paschi che ha perso il 3, 3 per cento. Se così stanno le cose , il decreto Imu-Bankitalia è truffaldino. La prassi di mescolare in un unico provvedimento materie diverse ha il sapore di un ricatto inaccettabile. Si tratta di stabilire se, pur di non pagare l'IMU, gli italiani saranno costretti a sborsare somme ancora più rilevanti nel medio e lungo termine, per salvare banche in crisi, con la copertura di Bankitalia. Il problema maggiore è che esiste un clamoroso e non risolto conflitto di interessi che affligge Bankitalia. Gli scandali Parmalat e bond Argentini e la mancata soluzione dei problemi emersi con danno dei risparmiatori ( coi bond Argentini, Parmalat , Cirio e l’Antonveneta), derivarono da situazioni confliggenti in cui versava la Banca d’Italia. Che da un lato svolgeva compiti di vigilanza e controllo sugli istituti di credito; dall’altro era di proprietà degli istituti di credito che avrebbe dovuto controllare (ex banche pubbliche divenute private); e infine era organo di tutela dei risparmiatori cui la Costituzione assegna una speciale protezione all'art 47 :<< La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme>>. A questo si aggiunse un altro paradosso.

Che il Cicr. ( il comitato per il credito e il risparmio), organo che doveva controllare la regolarità della condotta del Governatore della Banca d’Italia, era composto dallo stesso Governatore che avrebbe dovuto essere controllato dal Cicr , ma anche dai rappresentanti delle banche controllate, comproprietarie della Banca d’Italia, e di Ministri che avevano interesse a favorire finanziamenti localistici, aperture di sportelli, prestiti a gruppi di clientes, e roba del genere. Un guazzabuglio reso possibile da leggi non leggi e carenze di leggi, che non contrastavano i gravi conflitti tra interessi pubblici e privati. Il dissesto Parmalat giunse dopo due truffe colossali in danno dei risparmiatori, i bond Cirio e i titoli argentini, con 23 miliardi di euro bruciati. Con l’amara sensazione per gli investitori di non potersi difendere. La SEC (Security and Exchange Commission) descrisse il caso Parmalat come “una delle più grandi e spudorate frodi finanziarie della storia”.

Fu l’inchiesta della magistratura milanese a costringere il Governo a varare una legge sul risparmio che eliminò in parte questi conflitti. Le operazioni truffaldine furono il risultato di controlli pressoché inesistenti di Banca d’Italia. Ma anche di CONSOB, borsa, sindaci, revisori dei conti e agenzie di rating che non funzionarono e non garantirono, come dovevano, un reticolo di trasparenza e affidabilità. Gli organi di controllo erano un costosissimo apparato di supporto per una miriade di delitti (aggiotaggio, insider trading, truffa, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, riciclaggio) al confronto dei quali i reati del crimine organizzato appaiono poca cosa. Dalle indagini sugli scandali Parmalat e Cirio vennero fuori nomi di politici di destra, sinistra e centro. Si trattava di Ministri in carica, ex Ministri, ex Presidenti del Consiglio di centro, destra e sinistra, ex Presidenti della Repubblica, parlamentari e portaborse. In questo caso la par condicio venne rispettata rigorosamente.

A muovere la macchina della corruzione fu un ceto politico arrembante, con l’appoggio di potentissimi banchieri.

E come in passato, i finanziatori furono i soli capri espiatori, mentre i politici restarono indenni. Certamente la depenalizzazione surrettizia del falso in bilancio , i condoni a raffica e la mancanza di controlli hanno alimentato il crac Parmalat e Cirio e quello del BPI e della Banca d’ Italia. La spinta maggiore è venuta dalla certezza della impunità: la facilità con la quale aggiravano i controlli, si infilavano tra le pieghe delle leggi, negli ambienti politici e finanziari e nelle banche . Le operazioni truffaldine sono state compiute con il concorso dei Governi . Che diedero un avallo formidabile alle frodi di Parmalat e Cirio con una politica criminogena fondata sulla depenalizzazione del falso nei bilanci, sulla legittimazione dei fondi neri, sui condoni sui capitali illeciti, sulle evasioni fiscali, sulla legge ex Cirielli che prevede la prescrizione breve di delitti gravissimi. Ma le operazioni furono anche il risultato di controlli pressoché inesistenti o compiacenti di Banca d’Italia, in primis.

di Ferdinando Imposimato


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