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lunedì 11 marzo 2013

Servizio Civile Internazionale in Palestina



Attivisti internazionali rompono l'isolamento dei Territori, ma a volte si sostituiscono ai palestinesi. Intervista al segretario nazionale del Servizio Civile Internazionale.

  - Riccardo Carraro è il giovane segretario nazionale dello SCI Italia, organizzazione non governativa fondata nel '48, parte di una vasta rete internazionale di ancora più antica tradizione. Lo incontriamo a "La Città dell'Utopia", un vecchio casale che resiste tra i grigi palazzi di Roma sud dove l'associazione organizza laboratori, corsi e incontri. Tra questi, quello di domani, martedì 12 marzo, con l'attivista di Nabi Saleh Mohammed Tamimi. Il tema: "Acqua, resistenza e diritti".

Dal settembre del 2009 il Servizio Civile Internazionale lavora in Palestina. Perché questa scelta?

Sono molte le ragioni che, ieri come oggi, ci fanno credere all'importanza di lavorare in quest'area del Mediterraneo. Di certo una di queste è l'ostacolo che l'occupazione militare israeliana rappresenta per la pace e la giustizia nell'intera regione (e forse nel mondo). E' un nodo che una associazione pacifista come la nostra deve provare ad affrontare. La Palestina è un microcosmo, un laboratorio di ingiustizia e violenza paradigmatico del mondo in cui viviamo. Ma è anche un luogo in cui, se sei attento e sensibile, puoi raccogliere tantissimi stimoli. Per tale motivo, i campi o le altre attività dello SCI non sono mai fine a se stessi ma sempre dei mezzi per stimolare l'attivazione e il cambiamento in chi parte, prima e durante il campo ma anche al rientro.

Come vedi la tanto dibattuta presenza degli internazionali nei Territori?

Non è facile rispondere, di sicuro è una presenza che ha "segnato" il conflitto dalla Seconda Intifada ad oggi. E' una presenza che permette di aprire punti di vista diversi, che aiuta a leggere e vivere il conflitto utilizzando chiavi interpretative non nazionalistiche, ed è una presenza che ha il grande merito di aver rotto l'isolamento e la separazione che Israele pianifica da anni verso i palestinesi. È anche una presenza complessa: in alcuni contesti vengono compiuti errori da parte di internazionali, a partire da una pretesa universalistica che abbiamo, che fa sentire alcuni "più palestinesi dei palestinesi", con il rischio di sostituirsi a loro nelle decisioni e nelle azioni. In altri casi è una presenza che crea "dipendenza" in modo non troppo dissimile a quella creata dalla cooperazione. Diciamo che è una presenza che gioca sulla "soglia" e che in quanto tale può innescare processi significativi di cambiamento, ma può pure travalicare certi limiti. Noi crediamo che tale presenza abbia senso ancora oggi, ma non vada mai separata da una adeguata preparazione. In Palestina non si può andare "a caso" o "da turista". Il rischio di compiere danni è notevole.

Tra i vari progetti, lo SCI sostiene i comitati di resistenza popolare nonviolenta contro il muro, contro l'occupazione (www.popularstruggle.org). Perché questa scelta?

Sosteniamo i comitati popolari che si oppongono al muro e all'occupazione dal 2008. Crediamo che la joint popular struggle che conducono abbia caratteristiche di portata rivoluzionaria. Anche se fisicamente il movimento non ha abbattuto il muro, ha fatto crollare i muri tra le persone. Viviamo in un mondo in cui i processi di stratificazione sociale ed economica e la separazione forzata tra le persone sono sempre più uno strumento delle élite per mantenere il proprio potere, e il razzismo permette e rafforza la separazione e lo sfruttamento. Nella lotta sono inoltre coinvolti generazioni e strati sociali diversi, facilitando processi di cittadinanza attiva e partecipazione a tutti i livelli.
E' una esperienza che vuole essere creativa, usare i media in modo intelligente e autonomo fino a creare proprie narrazioni di successo, basti pensare a film come Bil'in my love, Budrus o Five Broken Cameras. E' una esperienza che considera conclusa la seconda Intifada, e vuole richiamarsi alla prima, cioè un movimento ampio e includente che rifiutava di delegare a pochi combattenti armati la propria lotta. E' infine una esperienza che si percepisce come parte di una lotta globale per la pace e la giustizia e per questo cerca sempre di collegarsi a movimenti sociali europei e internazionali.

Come avviene tale collaborazione?

E' una collaborazione che negli anni è cresciuta e si è arricchita e ha permesso di conoscerci reciprocamente e di costruire percorsi importanti. Dal primo scambio della società civile nel 2008, ad un importante lavoro di documentazione fatto nel 2009, fino alla prima raccolta delle olive del 2010 e il primo campo di volontariato nel 2012 che verrà replicato anche quest'anno. Nel 2013 è poi iniziato il progetto Beyond Walls, cofinanziato dalla Commissione Europea, che durerà 2 anni e mezzo, composto di varie azioni finalizzate ad un sostegno ampio al lavoro di human rights defenders svolto dai comitati popolari. Il progetto includerà difesa legale, avanzamento del profilo mediatico, formazione e capacity building. Il progetto include il sostegno anche agli attivisti israeliani coinvolti nella resistenza popolare.

Dall'anno scorso l'associazione ha deciso di avviare un progetto di volontariato a lungo termine, "Multiplying solidarity" che ha portato 4 volontari in Servizio Volontario Europeo in Palestina. Quali sono gli aspetti più innovati di tale progetto?

Credo che l'innovazione stia nel pensare ad una idea di Servizio Volontario Europeo direttamente impegnata a fianco dei processi di cambiamento della società palestinese, quindi vicina all'attivismo, e non limitata ad offrire servizi, per quanto necessari. I nostri volontari hanno perciò vissuto un'immersione piena nel contesto palestinese, vivendo in condizioni semplici, all'interno dei villaggi, con le difficoltà, i disagi ma anche la ricchezza che questo offre. Hanno partecipato attivamente alle iniziative più significative dell'ultimo anno come la costruzione del villaggio di Bab al Shams, la conferenza di Bil'in, l'azione nonviolenta al supermercato Rami Levi. Hanno creato un ponte tra la Palestina e l'Italia, permettendoci di essere informati, di capire, e di vivere un pezzo della resistenza che si porta avanti lì, attraverso i loro racconti.

Un momento fondamentale per la vita e l'economia palestinese è la raccolta delle olive. Lo SCI organizza presenza internazionale/dei progetti in tale periodo? Perchè?

La raccolta delle olive è un momento centrale della vita degli agricoltori palestinesi perché la loro economia dipende molto dalla produzione di un prodotto pregiato come l'olio. Raccogliere olive significa difendere la propria terra da espropri e mantenere viva una tradizione agricola importante. Al tempo stesso è uno dei momenti più delicati, perché molto spesso verso quei terreni agricoli i coloni israeliani degli insediamenti circostanti hanno forti interessi e tentano in tutti i modi di impossessarsene e di limitare l'accesso ai palestinesi. Raccogliere olive porta quindi a confrontarsi con coloni, quasi sempre armati, che minacciano gli agricoltori e cercano di impedire il loro lavoro. Per questa ragione, ormai da tre anni, formiamo e inviamo volontari internazionali, in un progetto comune con Associazione per la Pace e Un Ponte Per..., per accompagnare i contadini palestinesi in questo importante e complesso lavoro garantendo sostegno e protezione internazionale. Nena News

Per maggiori informazioni: www.sci-italia.it oppure scrivendo a campisud@sci-italia.it
di Paola Rossi*
*Volontaria in Palestina del Servizio Civile Internazionale (SCI)
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