Le Carte Parlanti

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Mundimago

domenica 31 luglio 2011

Current Italia, il migliore canale che, in questo buio periodo di manipolazione, è riuscito ad informare liberamente i cittadini




La Rete Viola saluta Current Italia, il migliore canale che, in questo buio periodo di manipolazione, è riuscito ad informare liberamente i cittadini.

Un canale d'inchiesta, indagine, informazione e diffusione da e per tutto il mondo, libero, democratico e sempre presente...

Abbiamo accolto a braccia aperte i suoi operatori, nelle piazze e nelle città: dove c'era current c'era la libera informazione.


Oggi, 31 luglio 2011, questa splendida speranza per il mondo sta morendo... forse ha dato troppo prurito a chi viveva nel lusso, forse ha scavato troppo a fondo nelle insabbiature mediatiche, forse ha colpito troppo nella coscienza le menti addormentate...


Oggi, 31 luglio 2011, muore un enorme pezzo di democrazia.


Grazie Current, grazie a tutti voi: porteremo avanti il vostro lavoro.

Ora e sempre, INFORMAZIONE!




I vostri "lettori" ♥



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BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 , CHI E' STATO



BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 ,  CHI E' STATO

Bologna: la strage
La più grande strage italiana in tempo di pace. Ottantacinque morti, più di duecento feriti. La vittima piu' piccola è Angela Fresu, di appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di 6, Sonia Burri, di 7, fino ai più anziani: Maria Idria Avati, 80 anni, e ad Antonio Montanari, 86.

Tra presunte rivendicazioni e smentite, dopo 21 anni di udienze e 15 processi, per la magistratura esiste una sola ed unica verità: quella della destra eversiva con a capo Valerio Fioravanti che intendeva colpire al cuore Bologna la rossa. Giovanni Minoli, attraverso interviste esclusive, ricostruisce l'attentato italiano più tragico e sanguinoso della storia del nostro paese, un evento che lascia molti interrogativi ancora aperti, su cosa e' davvero successo quel sabato d'agosto a Bologna.



Nessuno dimenticherà MAI. Forse molti sono passati oltre per respingere un ricordo che non si vorrebbe facesse parte del nostro passato.

Un orologio si fermò. Insieme a tante vite.
Quando si scende alla stazione di Bologna, si leggono i nomi delle vittime e si guarda l' orologio moderno che è fermo sulle 10.25 ... ti vengono i brividi e stai ancora male.

Non abbiamo dimenticato...
La strage di Bologna, compiuta sabato 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna, è uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra. Per Bologna e per l'Italia fu una drammatica presa di coscienza della recrudescenza del terrorismo di estrema destra.


I fatti. Due agosto di ventisette anni fa. Stazione ferroviaria di Bologna.
Quel sabato per molti italiani stanno cominciando le ferie estive. Alcuni scelgono le autostrade, pronti ad affrontare interminabili code, stipati tra le lamiere roventi delle automobili. Altri preferiscono il treno. La stazione e’ dunque gremita di persone sin dalle prime ore della mattina. Alle 10 e 25 però il tempo si ferma: 23 kg di tritolo contenuti in una valigetta esplodono nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria. Le lancette del grande orologio che faceva affrettare il passo ai viaggiatori in ritardo segnano ancora oggi quell’ora terribile. Un boato squarcia l'aria, crolla l'ala sinistra dell'edificio: della sala d'aspetto di seconda classe, del ristorante, degli uffici del primo piano non resta più nulla. Una valanga di macerie si abbatte anche sul treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. Pochi interminabili istanti: uomini, donne e bambini restano schiacciati.

La pista nera
Uno scenario di guerra, un cumulo di macerie dove si scaverà giorno e notte per molto tempo. La matrice della strage sembra chiara: dietro l’attentato ci sono i fascisti, con una sigla nota dell’estremismo di destra, i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari). Sono loro che hanno voluto colpire al cuore Bologna la rossa.
La magistratura inizia subito le indagini tra presunte rivendicazioni e telefonate di smentita, come quella del 6 agosto 1980, quando i Nar contattano il quotidiano Il Tempo dichiarando: “Dovete pubblicarlo. I Nar smentiscono categoricamente ogni rivendicazione nella strage di Bologna. Non è nella nostra tradizione di attacco militare compiere atti come quelli del 2 agosto.”
Eppure la pista nera appare da subito come la più plausibile, soprattutto per un'inquietante coincidenza. Il deposito, nella stessa mattinata del 2 agosto, dell’ordinanza di rinvio a giudizio da parte del Giudice Istruttore di Bologna per gli autori della strage dell’Italicus del 1974.

Martedì 5 agosto 1980, al Cesis, il Comitato Esecutivo Servizi Informazione e Sicurezza, sono riuniti i più alti vertici delle istituzioni. L’allora Presidente del Consiglio Francesco Cossiga si dice certo che la matrice della strage sia fascista. “Pensai subito ad un attentato dell’estrema destra perché lo stragismo è stato una delle manifestazioni dell’eversione di destra.

Chi sono i Nar?
I Nuclei Armati Rivoluzionari nascono nell’autunno del 1977. Sotto tale sigla agiranno, fino al novembre del 1981, gruppi diversi e indipendenti tra loro, tra cui proprio quello di Valerio Fioravanti. La peculiarità dei movimenti di destra romani è lo “spontaneismo” costituito dal mito dell’azione esemplare fine a se stessa, dal rifiuto della struttura gerarchica e militare e dal culto dell’amicizia e del gruppo. I NAR diventeranno secondi, per numero di vittime, soltanto alle Brigate Rosse, ma a differenza di queste scriveranno pochissimo. Viene infatti ritrovato un solo volantino, intitolato: NAR, chiarimento, in cui viene spiegato cosa sia lo spontaneismo armato e che si conclude con l’intimidazione: Tremate, l’ora è vicina! Sarà la resa dei conti. NAR.
La sigla “Nuclei Armati Rivoluzionari” si inserisce in un orizzonte volutamente mutabile e in movimento. Tale sigla infatti venne utilizzata al principio dal gruppo formato dai fratelli Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Franco Anselmi che si era andato strutturando in un processo di aggregazione per gruppi operanti nei quartieri e attivi in pestaggi e scontri fisici con oppositori politici, ma che già dal suo nascere non intendeva caratterizzarsi come una specifica formazione politica, quanto piuttosto mettere a disposizione di tutta l'area della destra una sorta di parola d'ordine con cui attestare, attraverso i fatti, la condivisione del progetto complessivo. Valerio Fioravanti spiegherà il significato della sigla in questi termini: "La sigla N.A.R. è stata usata da molti anni, inizialmente per semplici attentati di danneggiamento, e stava ad indicare soltanto la matrice fascista. Tale sigla peraltro non si riferisce ad una organizzazione stabile e strutturata; bensì soltanto alla matrice degli attentati."

I dirigenti dei NAR, oltre ai fratelli Fioravanti, sono Dario Pedretti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini, Stefano Soderini, Giorgio Vale, e molti altri.

Il fratello di Valerio Fioravanti, Cristiano, durante il processo per la strage di Bologna, il 31 ottobre ’89 dichiara: "A me personalmente dava fastidio che non potevamo fare gli scontri con la polizia dalla parte nostra, oppure che la magistratura ci copriva. Era risaputo che i giovani di destra erano figli di papà che rispettavano la legge, che non andavano contro…io volevo uscire da quegli schemi".

Nel 1980 a dominare la scena del terrorismo nero sono proprio i NAR di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi dall’impressionante capacità di fuoco: da febbraio a giugno dell’80 hanno già ucciso 2 agenti di polizia ed il giudice Mario Amato, il sostituto procuratore che a Roma si occupava dell’eversione nera.

Per la magistratura sono loro gli esecutori materiali della strage di Bologna: Fioravanti, e Mambro, che verranno condannati in seguito, con sentenza definitiva, insieme a Luigi Ciavardini.

Tra il 1980 ed il 1983 viene arrestata tutta la dirigenza dei Nar insieme a molti altri militanti dell’estrema destra:

Valerio Fioravanti viene arrestato il 5 febbraio 1981, dopo un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine nei pressi del Canale Scaricatore Padova dove, insieme alla Mambro e ad Alibrandi, stava recuperando delle armi nascoste nel canale. Nello scontro a fuoco muoiono i carabinieri Enea Condotto e Luigi Maronesi. Ferito ad una gamba, Fioravanti viene portato di corsa in un covo, nel centro di Padova, dove poco dopo le forze dell’ordine fanno irruzione e arrestano il giovane capo dei Nar.
L'arresto di Fioravanti avviene in un momento difficile per la banda terroristica perché molti dei rifugi utilizzati sono già stati scoperti; pare che dopo questo arresto i membri di altre organizzazioni terroristiche nere proposero ai NAR più esposti di lasciare a loro le armi e di trasferirsi in Bolivia. La proposta fu respinta dai NAR.

Cristiano Fioravanti viene arrestato l'8 aprile 1981. Il suo pentimento porterà ad ottenere numerose informazioni sui NAR e sui loro legami esterni.

Francesca Mambro viene arrestata il 5 marzo 1982 dopo essere stata ferita da un proiettile durante un assalto ad una banca di Roma.

Luigi Ciavardini viene arrestato il 4 ottobre 1980, latitante dopo essere stato ferito durante un'azione dei NAR compiuta nel maggio dello stesso anno. Luigi Ciavardini è stato nuovamente arrestato a Roma il 9 ottobre 2006, con l'accusa di rapina, da cui poi verrà scagionato.

Giorgio Vale muore il 5 maggio 1982 durante un'irruzione delle forze dell'ordine nell'appartamento in cui si è asserragliato, mentre sono in corso trattative per farlo costituire. Non è mai stato chiarito se Vale si sia suicidato oppure se sia stato ucciso dai proiettili sparati durante l'irruzione.

Gilberto Cavallini e Stefano Soderini : Cavallini e Soderini sono gli ultimi due esponenti di alto livello dei Nar ancora in circolazione, dopo una serie di arresti avvenuti nei periodi precedenti. A loro carico c'erano accuse per una serie di gravissimi reati. Cavallini in particolare è accusato, oltre che dell'omicidio del magistrato Mario Amato (gli esplose alla nuca un colpo di rivoltella fatale) , degli assassinii del capitano di polizia Straullu e dell'agente Di Roma, avvenuti a Vitinia; dell'omicidio dell'agente Galluzzo davanti all'abitazione di un esponente dell'Olp; dell'uccisione di due carabinieri a Padova (assieme ad altri neofascisti tra cui Valerio Fioravanti); dell'omicidio di un brigadiere dei carabinieri e di due poliziotti a Milano, e di un altro poliziotto davanti al liceo Giulio Cesare di Roma; e anche dell'eliminazione dei due neofascisti Mangiameli e Pizzarri, condannati a morte perché considerati traditori. Numerose le sue implicazioni, a vario titolo, nei diversi processi per le stragi che insanguinarono l'Italia. Il suo primo ergastolo risale al 12 gennaio 1984, quando venne condannato al carcere a vita assieme a Soderini per l'assassinio del brigadiere dei carabinieri Ezio Lucarelli a Milano.

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La sentenza del primo processo contro i NAR del 2 maggio 1985 condanna un totale di 53 persone per attività terroristiche.


Le indagini e i depistaggi Giovedì 28 agosto 1980 scatta il primo blitz contro la destra eversiva, con 47 mandati di cattura. L’allora sostituto procuratore di Bologna, Luigi Persico, annuncia: “Abbiamo già in mente il nome dell’esecutore materiale dell’attentato”.
Martedì 23 settembre continuano gli arresti e le perquisizioni nei covi neri.
Sabato 4 ottobre 1980 vengono arrestati a Roma gli estremisti di destra Nanni De Angelis e Luigi Ciavardini: quest’ultimo di soli 17 anni, viene trasferito subito al carcere minorile di Foggia.
Come già detto precedentemente Valerio Fioravanti viene arrestato il 5 febbraio del 1981 in un covo a Padova, dopo essere stato ferito ad una gamba.

Le indagini proseguono, ma iniziano anche i depistaggi.
A Bologna, il 13 gennaio 1981, sul treno Taranto-Milano, la polizia ferroviaria rinviene una valigia contenente armi ed esplosivo dello stesso tipo di quello utilizzato per la strage di Bologna, insieme a due biglietti aerei e due passaporti stranieri, intestati ad un francese e ad un tedesco.
Il Sismi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) produce una serie di informative che collegano quel materiale ad una più ampia operazione, denominata “terrore sui treni”, una presunta campagna stragista realizzata da terroristi di destra italiani e stranieri. Solo in seguito si scoprirà che l’operazione “terrore sui treni” non esiste.
In realtà la valigia ritrovata e le informative sono solo un depistaggio (che sembra sia stato voluto ed organizzato proprio dagli alti vertici del Sismi) per sviare le indagini sulla strage del 2 agosto del 1980. Gli elementi contenuti in quelle informative sono: Numero 1. La famigerata operazione “terrore sui treni”: si parte da Taranto. Nell’estate del 1980 Valerio Fioravanti e i Nar hanno un covo proprio a Taranto. Numero 2. I terroristi si spostano in camper per svolgere alcune azioni.
Numero 3. I biglietti aerei rinvenuti nella valigia dopo la strage sarebbero stati acquistati da Giorgio Vale, elemento di primissimo piano dei Nar e noto anche agli inquirenti.
Numero 4. I biglietti aerei corrispondono a due prenotazioni diverse per due voli differenti, uno per Parigi e l’altro per Monaco, entrambi in partenza da Milano Linate. Su quei voli risultano prenotati i passeggeri Fiorvanti invece di Fioravanti e Bottacin, falsa identità del terrorista dei Nar Gilberto Cavallini.
Intanto le indagini sulla strage registrano una nuova, clamorosa novità.

A Roma, il 9 aprile del 1981, la polizia arresta un rapinatore legato alla banda della Magliana e agli ambienti della destra eversiva: Massimo Sparti.
Un delinquente comune che conosce però molti giovani della destra romana, tra cui Valerio Fioravanti e suo fratello Cristiano. Solo dopo il suo arresto, Sparti confesserà di un incontro con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, avvenuto il 4 agosto 1980, esattamente due giorni dopo la strage di Bologna.
Sparti riferisce tre cose importanti.
1) Le parole di Fioravanti (“Hai visto che botto a Bologna?”)
2) La richiesta da parte di quest’ultimo di documenti falsi per Francesca Mambro
3) Le minacce che gli vennero fatte da parte di Fioravanti qualora i documenti non fossero stati pronti per il giorno seguente.
Da quel momento le dichiarazioni di Massimo Sparti saranno cruciali per l’inchiesta sulla strage. Fioravanti e la Mambro diventano i principali indiziati per la strage e a loro, come annunciato, si aggiungerà, anni dopo, Luigi Ciavardini.

I processi
Il bilancio giudiziario dell’attentato più grave dell’Italia repubblicana consta di 15 processi, 21 anni di udienze, una trentina d’imputati a vario titolo e tre condannati con sentenza definitiva (23 novembre 1995 Mambro e Fioravanti e 9 marzo 2002 Luigi Ciavardini) come esecutori materiali della strage di Bologna. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, rei confessi di diversi omicidi, in merito alla strage di Bologna si sono sempre professati innocenti.
Non sono mai stati individuati i presunti ispiratori della strage, così come coloro che avrebbero fornito l’esplosivo; è stato assolto perfino l’unico imputato di cui fosse certa la presenza alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, il terrorista dei Nar Sergio Picciafuoco.
Sono stati condannati, invece, come esecutori materiali, Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini; mentre Licio Gelli, Francesco Pazienza e gli Ufficiali del Sismi Giuseppe Belmonte e Pietro Musumeci per aver depistato le indagini. Vengono condannati per banda armata finalizzata alla realizzazione della strage, oltre a Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini anche Gilberto Cavallini ed Egidio Giuliani, entrambi terroristi di destra appartenenti ai Nar.

Eppure la giustizia italiana non è mai riuscita a scoprire i mandanti e gli ispiratori politici della strage pur avendone individuato gli esecutori materiali: resta una condanna molto discussa che tuttavia si basa interamente su quattro indizi:
1) La mancanza di un alibi da parte degli esecutori
2) La telefonata di Luigi Ciavardini alla sua fidanzata il primo agosto 1980
3) L’omicidio di Francesco Mangiameli, dirigente siciliano del movimento di estrema destra "Terza Posizione".
4) La testimonianza di Massimo Sparti

1) Dopo vari interrogatori e dopo aver sostenuto versioni contrastanti, Fioravanti, Mambro e Ciavardini affermano che il 2 agosto 1980 si sono spostati, insieme ad un altro loro camerata, Gilberto Cavallini, da Treviso, dove soggiornavano a casa dello stesso Cavallini, a Padova. Nessuno, però, può confermare il loro alibi.
Ma allora: perché Cavallini non è stato mai imputato del reato di strage?

2) Per il fine settimana del 2 e 3 agosto 1980 Luigi Ciavardini ha in programma di passare un week end a Venezia con la fidanzata ed un’altra coppia di amici. Tuttavia il primo agosto 1980, secondo i giudici, Ciavardini telefona alla ragazza e la avverte di non partire più, perché ci sono dei “grossi problemi”.
Questa telefonata, secondo la Corte, è il preannuncio della strage: se da una parte, ha portato alla condanna definitiva a trent’anni per Luigi Ciavardini, dall’altra pone dei forti interrogativi, quali: se Ciavardini ha partecipato alla strage perché Fioravanti e Mambro, dopo il 2 agosto, lo hanno lasciato in Veneto lontano dal loro controllo? Perché Fioravanti e Mambro non hanno chiesto a Massimo Sparti un documento falso anche per Ciavardini?

3) Il 9 settembre del 1980, Valerio e Cristiano Fioravanti, insieme a Francesca Mambro ed ad altri esponenti dei NAR uccidono Francesco Mangiameli, dirigente siciliano del movimento di estrema destra “Terza Posizione” (l’organizzazione dell’estrema destra rivale dei NAR). Fino a tre giorni prima della strage di Bologna, Fioravanti e Mambro erano a Palermo, ospiti proprio dello stesso Mangiameli.
Secondo i Giudici di Bologna, nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 23 novembre 1995: “Le risultanze non consentivano di affermare che Fioravanti e Mambro avessero confidato a Mangiameli qual’era il loro prossimo progetto da realizzare ma entrambi gli imputati si sono trattenuti in Sicilia, ospiti di Mangiameli sino alla fine del luglio 1980, cioè proprio nel periodo nel quale non poteva non essere stata predisposta tutta la complessa attività preparatoria che quella strage doveva aver necessariamente richiesto”. Mangiameli, insomma, non poteva non sapere della strage. Era un testimone pericoloso che avrebbe potuto parlare e perciò andava eliminato.
Secondo i giudici di Roma, invece, il movente  dell’omicidio Mangiameli - per cui hanno condannato all’ergastolo Fioravanti e Mambro- era diverso: si trattava solo di un regolamento di conti interno all’estrema destra e non aveva niente a che fare con la strage di Bologna.

4)Il testimone chiave: Massimo Sparti.
La vicenda Sparti è il nodo centrale del processo della strage di Bologna per una verità giudiziaria complessa e purtroppo basata solo su indizi.

Massimo Sparti è un delinquente legato probabilmente alla Banda della Magliana, verso il quale Cristiano Fioravanti nutre una profonda simpatia, considerandolo un secondo padre; circostanza questa più volte ricordata in numerosi interrogatori, nei quali si sottolinea, di contro, la diffidenza e l'avversità nutrita verso Sparti dal fratello di Cristiano, Valerio.

La frase di Fioravanti riferita da Sparti alla magistratura “Hai visto che botto a Bologna”, è stata ritenuta dai giudici come elemento chiave della presenza di Fioravanti sul luogo della strage insieme alla Mambro congiuntamente alla sua preoccupazione di procurare in tutta fretta alla ragazza dei documenti falsi: secondo la Corte sono affermazioni inequivocabili di responsabilità. Eppure Francesca Mambro non ha esibito nessun documento falso all’hotel Cicerone di Roma, dove alloggia il 5 agosto dell’80 insieme a Fioravanti. Al contrario, è proprio Fioravanti a rilasciare documenti falsi, sotto il nome di Flavio Caggiula. Esaminati i registri dell’Hotel, quel giorno nessun altro nominativo può corrispondere ad una falsa identità della Mambro.

Secondo Massimo Sparti, Fioravanti avrebbe chiesto i documenti solo per la Mambro e non per sé. Secondo la sua testimonianza Fioravanti non aveva paura di essere riconosciuto perché quel 2 agosto si era travestito da turista tirolese.
Il 4 agosto, quando Fioravanti si reca a casa sua per chiedergli i documenti della Mambro, era presente, secondo lui, tutta la sua famiglia. Eppure Stefano Sparti, suo figlio (che nel 1980 aveva 11 anni), qualche anno dopo la morte del padre avvenuta nel 2002, sostiene che Massimo Sparti mente.
Stefano Sparti non verrà mai ascoltato dai giudici di Bologna: durante i vari processi solo la moglie di Sparti, la domestica e la suocera metteranno in dubbio le dichiarazioni di Massimo sostenendo che il 4 agosto egli era rimasto a Cura di Vetralla, nella loro casa di campagna. Le loro testimonianze verranno tuttavia ritenute inattendibili dai giudici. La Corte di Assise di Bologna, il 23 novembre 1995, ha ritenuto di poter affermare che queste testimonianze erano la riprova che Sparti non avesse mentito.

Ma esistono altri interrogativi irrisolti.
Nella vicenda di Massimo Sparti c’è, infatti, un altro grande mistero: il suo presunto tumore allo stadio terminale.
Nel febbraio del 1982 Massimo Sparti, detenuto nel carcere di Orvieto, dimagrisce a vista d’occhio: si teme per la sua salute. Con uno scambio di cartelle cliniche che attestano la presenza di un tumore, riesce ad uscire dal carcere.

La testimonianza di Stefano Sparti
A mettere in dubbio la testimonianza di Massimo Sparti è proprio suo figlio Stefano che, per la prima volta dopo tanti anni, ha accettato di raccontare la sua verità. Stefano racconta a La Storia Siamo Noi: “Mio padre cercava di fare il possibile per uscire dal carcere. Come mi confessò, aveva trovato il modo di farsi recapitare delle anfetamine per non mangiare e simulare qualche male.”
Infatti, a causa del suo deperimento fisico, Massimo Sparti viene trasferito al Centro Clinico carcerario di Pisa: qui gli viene diagnosticato un tumore al pancreas. Stefano Sparti dice: “ Sapevamo che il tumore era inesistente. Qualcuno aveva trovato un modo per farlo uscire!”
La cartella clinica contenente la tac che gli ha permesso la scarcerazione, porta il nome di Massimo Forti: solo nell’ultima immagine c’è il nome di Massimo Sparti. Oltretutto questa tac è improvvisamente scomparsa alla metà degli anni ‘80 e poi riapparsa all’inizio degli anni ’90. Ma soprattutto: nonostante la diagnosi del tumore al pancreas, Sparti vivrà altri 20 anni!

Stefano Sparti continua “ Si professava nazista più che fascista. Si vantava del fatto di avermi messo il nome Stefano, cosicché le mie iniziali formassero SS”.

Nel 1978 alcuni giovani di destra tra cui i fratelli Fioravanti e Alessandro Alibrandi iniziano a frequentare la casa di Massimo Sparti. “Si vedeva che quei giovani guardavano mio padre con sguardo affascinato.

E’ soprattutto Cristiano Fioravanti a trascorrere molto tempo insieme a Massimo Sparti, tanto da diventare quasi un fratello maggiore per il figlio Stefano. “Ho conosciuto Cristiano da bambino ed è divenuto a tutti gli effetti un elemento, un fratello maggiore”.

Ho un ricordo ben chiaro del 2 agosto 1980: io ero a Cura di Vetralla con la mia famiglia. Proprio quel 2 agosto Cristiano Fioravanti, arrestato mesi prima per detenzione d’armi, viene rilasciato”.
Secondo Stefano Sparti poche ore dopo la strage, Cristiano giunge a Vetralla per incontrare il padre Massimo. Stefano non ha dubbi: suo padre non si è mai spostato da Vetralla, tranne lunedì 4 agosto, quando però tutta la famiglia riunita è partita. Il 4 agosto è la data cruciale dell’incontro tra Massimo Sparti, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.

Stefano Sparti non rivedrà suo padre Massimo dalla metà degli anni Ottanta fino al febbraio 2002. Massimo Sparti, realmente malato di un tumore, chiama il figlio al suo capezzale. Ricorda Stefano: “Ho rivisto mio padre in punto di morte. Sono voluto andare a vederlo, non per perdonarlo, non per vederlo morire ma per chiudere un cerchio. Gli ho chiesto «Perché? » E con frase sibillina che non vuol dire nulla mi ha risposto: «Non potevo fare altrimenti.»

Massimo Sparti muore il 17 febbraio 2002; viene seppellito in un cimitero di campagna a pochi chilometri da Roma. Sulla sua lapide, un epitaffio: “La commedia è finita, gli applausi dureranno secoli ed io li ascolterò dalla casa dell’eterno”.

Un’altra ipotesi: la pista del terrorismo palestinese
Dopo 15 processi rimangono domande cui nessuna sentenza ha ancora risposto. Come prima cosa ci si domanda: che cosa significa “esecutori materiali?”, quale è stato cioè il ruolo preciso di Fioravanti, Mambro e Ciavardini a Bologna? E poi: quale è stato il movente della strage? Chi ha fornito l’esplosivo? Chi sono i mandanti di quell’eccidio? Perché il Sismi, dopo aver depistato le indagini ha di fatto abbandonato gli esecutori materiali al loro destino?

Al di là di questi dubbi, qualcuno avanza delle altre ipotesi. Francesco Cossiga, allora Presidente del Consiglio dice: “Credo che non scopriremo mai la verità... Credo che lì fosse in atto, da parte di terroristi del Medioriente, un trasporto di esplosivo; che loro sono scesi dal treno e gli sia scoppiata la valigia con l’esplosivo che c’era dentro.

Contro l’ipotesi di Cossiga si è espresso con fermezza Paolo Bolognesi (Presidente dell’Associazione Familiari delle Vittime della stazione di Bologna), sostenendo che quella dell’ex Presidente della Repubblica è disinformazione. L’ipotesi prospettata da Cossiga di uno scoppio “accidentale” per mano straniera non ha mai trovato riscontri di nessun genere; ciò nonostante, l’ipotesi di una responsabilità estera della strage torna anche nel lavoro svolto da due consulenti della commissione Mitrokhin ( il Magistrato Lorenzo Matassa e il Giornalista Gianpaolo Pelizzaro), secondo i quali il neofascismo non ha niente a che fare con quella strage ed il vero movente sarebbe da ricercare, pittosto, in un episodio accaduto nel novembre del 1979.

A Ortona, in provincia di Chieti, l’8 novembre del ’79 vengono arrestati tre esponenti di “Autonomia Operaia”, Giorgio Baumgartner, Luciano Nieri e Daniele Pifano. Nel loro furgone vengono ritrovati due lanciamissili di fabbricazione sovietica. Dopo di loro, viene arrestato un cittadino giordano di nome Abu Saleh Anzek, residente a Bologna.
Secondo la testimonianza di Gian Paolo Pelizzaro, consulente della Commissione Mitrokin dal 2001 al 2006: “Un cittadino giordano, di origini palestinesi, responsabile del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina in Italia, formazione che aderiva all’OLP, praticava il terrorismo internazionale.” Secondo gli inquirenti, il trasporto dei lanciamissili Strela è stato organizzato proprio da Saleh, dirigente dell’organizzazione palestinese. Il processo per direttissima del 25 gennaio del 1980, condanna lui e gli altri imputati a sette anni di carcere.
Nella primavera di quell’anno il Fronte per la Liberazione della Palestina ed il suo capo Abash, tramite il dirigente del centro del Sismi di Beirut, Giovannone, lanciano accuse e minacce alle autorità italiane per la sentenza contro Saleh.
In questo scenario si capisce l’ipotesi di Francesco Cossiga che parla di un patto, un accordo segretissimo, stipulato tra il Governo di Aldo Moro e l'OLP di Arafat nel 1973, dopo l’assalto palestinese all’aereoporto di Fiumicino, che allora provocò 32 morti. Cossiga dice: “Una delle più ardite realizzazioni di Aldo Moro è stato l’accordo segreto, tanto segreto che io, come Ministro dell’Interno, Presidente del Consiglio e della Repubblica, non ne ho mai saputo niente. Per un lungo periodo siamo stati al riparo dal terrorismo mediorientale”.

Sulla base di quest’accordo, ai militanti palestinesi sarebbe stato consentito di far transitare all’interno dei confini del nostro paese armi e munizioni purché queste non venissero utilizzate contro l’Italia. L’accordo avrebbe stabilito, inoltre, la non perseguibilità per gli esponenti palestinesi trovati in possesso di armi. Secondo i consulenti della Commissione Mitrokhin, Matassa e Pelizzaro, il movente della strage di Bologna sarebbe, quindi, il seguente: l’arresto di Abu Saleh, ovvero la rottura del patto tra l’Italia e l’OLP.
Al centro di questa vendetta c’è un’altra figura, ancora oggi oscura : un militante delle cellule rivoluzionarie tedesche di nome Thomas Kram. Pelizzaro dice: “Thomas Kram risulta, in atti di polizia, aver soggiornato a Bologna la notte tra il 1 ed il 2 agosto del 1980, prendendo alloggio nell’albergo Centrale in via della Zecca, con una annotazione a mano al margine del registro, in cui si da atto che la registrazione era stata fatta poco dopo la mezzanotte. Una serie di atti della polizia ungherese documentano l’arrivo di Kram e un’altra terrorista tedesca a Budapest per un colloquio riservato con Carlos nell’ottobre del 1980. Il gruppo di Carlos adoperava l’attentato dinamitardo sui treni e nelle stazioni come strumento per piegare la volontà dei governi: la violazione dell’accordo per loro veniva considerata come punizione. ”
Secondo Matassa e Pelizzaro, nel 1980 Kram sarebbe stato un uomo al servizio del super terrorista Carlos, soprannominato “lo Sciacallo”. Il gruppo di Carlos era legato al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e quindi anche ad Abu Saleh.
A causa del lavoro investigativo di Matassa e Pelizzaro, all’interno della Mitrokhin si viene a craere una forte spaccatura tra i commissari del centro destra e quelli del centro sinistra. Si discute su tutto e tutto viene contestato, a cominciare dal ruolo di Kram e dei suoi presunti legami con Carlos.
Ma in Francia Carlos, in arresto per altri episodi di terrorismo, rilascia un’intervista al quotidiano il “Messaggero”, il primo gennaio del 2000, parlando anche della strage di Bologna e accenna alla presenza in stazione di un compagno. Il 23 novembre 2005, al Corriere della Sera, Carlos si decide a fare il nome di questo ipotetico compagno: è Thomas Kram, ma smentisce che quest’ultimo faccia parte della sua organizzazione e nega ogni coinvolgimento suo e del suo gruppo nella strage.
Le diverse interpretazioni e conclusioni hanno prodotto, all’interno della Commissione Mitrokin, due documenti distinti. Il riscontro sui documenti originali ci è stato impossibile perché la commissione ha secretato la maggior parte degli atti. Ma presso il Tribunale di Bologna è aperto un fascicolo d’indagine contro ignoti: un’inchiesta che cercherà di fare luce sulla figura di Thomas Kram, da dicembre 2006 a disposizione della Magistratura tedesca.

Quello di Bologna rimane un caso pieno d’interrogativi: il magistrato Paolo Giovagnoli, parla “di attività giudiziaria ancora aperta solo per accertare ulteriori responsabilità”, ma non mette in dubbio la responsabilità materiale della strage da parte di Fioravanti e Mambro.
Quella dei consulenti della Mitrokin è ancora solo un’ipotesi che non è mai stata vagliata dalla Magistratura. Al momento l’unica verità di cui si dispone è la sentenza definitiva di condanna contro di Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Ma senza un mandante, senza un movente, senza una risposta a tanti gli interrogativi, questa resta una verità parziale, un caso ancora aperto.






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NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
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sabato 30 luglio 2011

LINKS: Sosteniamo il PRESIDIO DI MONTECITORIO CONTRO LA C...









Luogo:MILANO P.ZZA DELLA SCALA


Ora:domenica 31 luglio 2011 1.00.00




Sosteniamo il PRESIDIO DI MONTECITORIO CONTRO LA CLASSE POLITICA


ROMA PRESIDIO FISSO



IL POPOLO SOVRANO PRETENDE 1° RIDUZIONE DELLO STIPENDIO DI PARLAMENTARI E AMMINISTRATORI PUBBLICI AD UN MAX DI 5.000 € 2° RIDUZIONE DI PARLAMENTARI E AMMINISTRATORI PUBBLICI DEL 50/60% 3° RIDUZIONE DELLE AUTO BLU DI ALMENO IL 90% 4° ABROGAZIONE DI RIMBORSI SPESA, VITALIZIO DI 3.000 €, PENSIONI PARLAMENTARI. 5° RIDUZIONE DELLE PENSIONI D'ORO AD UN MAX DI 5.000 € E TANTE TANTE ALTRE SPESE INUTILI... I SOVRANI SIAMO NOI !!! I PARLAMENTARI SONO NOSTRI DIPENDENTI E DEVONO FARE QUELLO CHE DICIAMO NOI !!! RESTEREMO AD OLTRANZA CON SCIOPERI DELLA FAME NIENTE BANDIERE E NIENTE COLORI. SEMPLICEMENTE UNITI !!! Nella battaglia della vita si può facilmente vincere l'odio con l'amore, la menzogna con la verità, la violenza con l'abnegazione.



LINKS: Sosteniamo il PRESIDIO DI MONTECITORIO CONTRO LA C...: "SOSTEGNO DA MILANO PER IL PRESIDIO DI P.ZZA MONTE CITORIO Luogo: MILANO P.ZZA DELLA SCALA Ora: domenica 31 luglio 2011 1.00.00 Sosteniamo ..."

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venerdì 29 luglio 2011

Barack Obama, ritiene che l'attività di importanti organizzazioni criminali transnazionali, minaccia la stabilità internazionale di sistemi politici ed economici


La mafia é dentro il sistema finanziario



Barack Obama
presidente degli Stati Uniti d'America
ritiene che l'attività di importanti organizzazioni criminali transnazionali abbia raggiunto tale portata e gravità da minacciare la stabilità internazionale
di sistemi politici ed economici


«Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d'America, ritiene che l'attività di importanti organizzazioni criminali transnazionali abbia raggiunto tale portata e gravità da minacciare la stabilità internazionale di sistemi politici ed economici. Tali organizzazioni stanno diventando sempre più sofisitcate e pericolose per gli Stati Uniti, sempre più radicate nelle operazioni di governi stranieri e nel sistema finanziario internazionale, indebolendo le istituzioni democratiche, degradando gli stati di diritto e mettendo in pericolo le economie di mercato».
Giustificando la propria azione usando queste parole, Obama ha recentemente firmato un decreto per combattere la criminalità organizzata, prevedendo la possibilità di un blocco delle proprietà ed un divieto delle transazioni internazionali verso le quali le mafie «mostrino interessi», cercando così di porre un freno a organizzazioni sempre più potenti, quali le zetas messicane, il circolo dei fratelli russo, la yakuza giapponese e, non ultima, la camorra napoletana, uno dei nostri più famosi "prodotti d'esportazione". Mafie d'ogni tipo e nazionalità, dunque, a riprova di come il problema che rappresentano non sia certo più confinato (e da tempo, ormai) nelle nostre regioni del Sud Italia, ma costituisca una sfida globale in grado di minacciare la sicurezza di una potenza come gli Stati Uniti.

Per definire il suo piano di contrattacco, Obama avrebbe potuto ovviamente consultare le istituzioni italiane, che qualche esperienza in materia ce l'hanno eccome. In tempi di forte crisi, dove si cerca di racimolare risorse da ogni dove, con la mannaia brandita da Tremonti sempre pronta a vibrare un nuovo colpo, quello della lotta all'economia sommersa rimane per noi un bacino potenziale di rara capacità dal quale poter attingere.

Grazie al XII rapporto Sos Impresa è possibile venire a conoscenza di alcuni dati in proposito, veramente impressionanti. Mafia spa non conosce crisi, e risulta essere di gran lunga "l'impresa" più florida d'Italia, con un fatturato annuo di ben 135 miliardi di euro, con una fetta di utili che rappresenta il 50 per cento della torta, sfiorando i 70 miliardi. Stiamo parlando di congreghe mastodontiche, con interessi che spaziano in ogni dove e tentacoli in pasta nel contrabbando e nello spaccio di droga, come nel mercato dei farmaci o nella gestione dei rifiuti e lo sfruttamento illecito delle possibilità e degli incentivi offerti dalla green economy, col rischio lampante e già in parte concretizzato di infangare sul nascere anche questo settore altamente strategico.

L'immagine del mafioso "coppola e lupara" rimane dunque altamente anacronistica. La mafia è riuscita ad evolversi in piaga internazionale, mescolandosi agevolmente - quasi per osmosi - tra i colletti bianchi di tutto il mondo, risultando così capace di influenzare gli andamenti economici e politici globali, pizzicando i fili più opportuni direttamente dalle alte sfere.

«Come tutti sappiamo - afferma il sottosegretario Usa al Tesoro, Cohen - gli Stati Uniti e molti altri paesi hanno prosperato enormemente grazie alla globalizzazione ed all'integrazione finanziaria. Ma c'è anche un lato oscuro della globalizzazione. Mentre il mondo sembra più piccolo, e il commercio e le transazioni sono diventati più liberi e più veloci, organizzazioni criminali transnazionali hanno sfruttato questi progressi per espandere le loro operazioni e la loro influenza, sottraendosi alla giustizia. Mentre la nostra economia globale ed i nostri sistemi finanziari sono cresciuti più sofisticati e interdipendenti, sono altresì diventati più vulnerabili alle organizzazioni criminali ed alle loro attività illecite, dove la loro integrazione nel sistema finanziario e commerciale li rende bersagli ideali per sanzioni economiche e finanziarie».

Questa sorta di presa di coscienza statunitense, per quanto lodevole, non giunge nuova alle nostre orecchie. Nello stesso rapporto Sos Impresa precedentemente citato viene riportato come «i soldi delle mafie rischiano di insidiare anche la Borsa, proprio perché costituiscono un flusso costante ed imponente di denaro (specie quello proveniente dallo spaccio di stupefacenti) e perché, mimetizzandosi, il mercato borsistico rappresenta un parcheggio ideale per i capitali malavitosi in attesa di utilizzi più vantaggiosi». Correndo più indietro nel tempo, lo stesso magistrato Giovanni Falcone - già nel 1991 - affermava come la mafia fosse entrata in borsa. Gli stessi americani hanno più volte avuto a che fare, in passato, con questo tipo di fenomeno: solo per citare un esempio di inizio decennio, durante l'operazione Uptick la retata che ne conseguì rastrellò da Wall Street quantità a due cifre tra broker disonesti ed esponenti di Cosa nostra.

In un momento di forte difficoltà del sistema finanziario internazionale, quando si alza il dito per individuare il colpevole dovremmo aver presente i vari aspetti che il contesto presenta nella sua integrità. Per un'analisi serena del mito dell'efficienza dei mercati e della magia del laissez faire, che ancora resiste a cadere (ma comincia fortunatamente a mostrare crepe sempre più profonde), una valutazione seria non può prescindere dall'influenza che la malavita è riuscita ormai a conquistarsi all'interno del sistema. Di quale autonomia ed autosufficienza dei mercati si parla, dunque? Nelle mani di quale depositario dovremmo affidare con cieca fiducia i destini del globo?

Ma l'inquinamento dell'economia non è possibile da imputare alle manovre delle sole mafie. «Le organizzazioni criminali transnazionali sono principalmente motivate ​​dal guadagno finanziario», altra affermazione (totalmente condivisibile, ovviamente) del sottosegretario Cohen. Se questo è un problema, per una sua radicale soluzione sarebbe legittimo porre la questione osservando con sguardo distaccato il funzionamento attuale dei mercati, difeso ed incoraggiato, e pronunciare un'accusa a più ampio raggio. Quanti sono, infatti, i soggetti che si muovono nelle borse di mezzo mondo, non sono "principalmente motivati dal guadagno finanziario"? Sarebbe interessante ascoltare la risposta del sottosegretario Cohen al proposito.

fonte : Greenreport

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Mediaset, deve restituire i soldi rubati con gli incentivi ai decoder

 
 
Mediaset
deve restituire i soldi rubati 
con gli incentivi ai decoder


 . Macchina Lavazza in Uso Gratuito .

Mediaset, deve restituire i soldi rubati con gli incentivi ai decoder


Tutto confermato. La Corte di giustizia della Ue ribadisce "che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 costituiscono aiuti di Stato e le emittenti radiotelevisive che ne hanno beneficiato indirettamente sono tenute a rimborsarli". Vale quindi la sentenza del tribunale di primo grado contro la quale Mediaset aveva presentato ricorso. Già nella sentenza di primo grado, i giudici europei avevano stabilito che il contributo pubblico all'acquisto dei decoder (150 euro per ogni utente previsti dalla finanziaria 2004 e 70 euro in quella del 2005), attribuiva alle emittenti digitali terrestri "un vantaggio indiretto a danno delle satellitari".


La Corte ha anche respinto gli argomenti di Mediaset secondo cui la Commissione Ue non avrebbe consentito di stabilire una metodologia adeguata per calcolare le somme che Mediaset deve rimborsare: per la Corte, il diritto dell'Unione non impone alla Commissione di fissare l'importo esatto dell'aiuto da restituire, che deve invece essere stabilito dalle autorità nazionali.


Follie all’Italiana! Dove si è mai visto che un governo finanzi con “aiuti di stato” per un’azienda di proprietà dello stesso presidente del Consiglio? E per giunta a guadagnarci era solo lui!




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giovedì 28 luglio 2011

LIBIA, CLAMOROSO FIASCO NATO E DELL’ITALIA


LIBIA

CLAMOROSO FIASCO NATO

E DELL’ITALIA

Afghanistan e Libia, guerre inutili e costose che il Senato italiano ha rifinanziato. Guerre ipocrite di cui, al di là delle vaghe exit strategies annunciate, non si vede via d'uscita. Come tutte le guerre, facili da cominciare, difficili da finire.

MAURIZIO MATTEUZZI
Roma, 28 luglio 2011, Nena News – Se la guerra in Afghanistan dopo dieci anni – già più lunga di quella del Vietnam – presenta un esito molto incerto, per usare un eufemismo, con i taleban passati per forza di cose dal ruolo di nemici da distruggere a quello di interlocutori ineludibili, la guerra di Libia dopo cinque mesi, qualunque sia il suo sbocco finale, costituisce senza tema di smentite un fallimento colossale della Nato. Della Nato e dei principali componenti della coalizione dei volenterosi che, trincerati dietro il pretesto umanitario della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza – «proteggere i civili» -, si sono buttati a corpo morto in un’avventura dall’inconfondbile tanfo neo-coloniale, per giocarsi sul terreno facile dei diritti umani, della libertà, della democrazia, della primavera araba, il nuovo assetto del petrolio libico.
Parzialmente defilati gli Stati uniti di Obama (vorrei ma non posso), che ha già troppe gatte da pelare per lanciarsi in una terza guerra contro un paese islamico e potrebbe perfino trarre vantaggi concreti nel prossimo futuro da questa sua posizione di rincalzo, chi sta portando il peso del fiasco sono le più sguaiate fra le ballerine della prima fila e della prima ora – la Francia di Sarkozy e l’Inghilterra di Cameron – e la terza, la più goffa, che avrebbe voluto essere allo stesso tempo in prima fila e dietro le quinte, l’Italia dei Berlusconi e dei Frattini ma, purtroppo, anche del presidente Napolitano.
Più che una guerra umanitaria quella di Francia e Inghilterra rimanda irresistibilmente all’avventura del ‘56 contro l’Egitto di Nasser. Sarkozy aveva bisogno di farsi perdonare le liaisons dangereuses sue e dei suoi ministri con il tunisino Ben Ali; Cameron aveva bisogno di farsi perdonare l’addestramento da parte delle Sas britanniche della forze speciali saudite – rivelato dall’Observer – impegnate a reprimere le pericolose donne al volante per le strade di Riyadh ma soprattutto le proteste democratiche nel Bahrein, un link difficile da conciliare con il conclamato sostegno alle primavere arabe.
Berlusconi era riluttante, sia per decenza dopo i recenti baciamano a Gheddafi sia per business dopo gli accordi sostanziosi, sia per i trascorsi dell’Italia, con tanto di gas e campi di sterminio, sulla quarta sponda. Ma poi ha subito ceduto, comprendosi dietro la foglia di fico del Consiglio di sicurezza, di cui la Nato sembra diventata l’agenzia militare.
Tutti sembravano o volevano far credere che la campagna libica fosse un capitolo facile e trionfale della primavera araba che in Tunisia e Egitto aveva spazzato via vecchi residuati bellici; che anche Gheddafi sarebbe stato cancellato in due-e-due-quattro dall’ondata «democratica» levatasi dall’indocile Cirenaica. Nessuno dubitava che in Libia sarebbe tutto finito presto e bene. Nessun dubbio, neanche quando i servizi francesi, dopo una visita a Bengasi e Tripoli, scrivevano, con qualche sorpresa, che la rivolta libica «non è né democratica né spontanea»; neanche quando si scoprì che i principali personaggi del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, ormai riconosciuti quasi unanimemente come il «governo legittimo della nuova Libia» erano o vecchi arnesi riciclati del gheddafismo, citati più volte da Amnesty, o esponenti di quel radicalismo islamico che Gheddafi aveva schiacciato con i suoi metodi spicci e che l’occidente vede come il cancro.
Quattro o cinque mesi di bombardamenti a tappeto su Tripoli, nella speranza di beccare finalmente Gheddafi e risolvere il problema alla radice (e senza curarsi troppo delle vittime civili di parte tripolina: «tragici errori», «effetti collaterali», come in Serbia). Quotidiani proclami del segretario Nato Rasmussen e del frivolo Frattini ad assicurare che «Gheddafi è finito», «il cerchio si stringe», «è questione di giorni». La finta di non vedere che gli insorti di Bengasi da soli non ce la faranno mai, che la guerra è impantanata, che – piaccio o no – Gheddafi non è solo repressione brutale ma ha, ancora, un seguito sociale, probabilmente alimentato dalla campagna aerea dei «crociati» che risveglia nei libici ricordi mai cancellati. La stupidaggine del procuratore della Corte penale internazionale, l’argentino Moreno Ocampo, di chiedere un mandato di arresto per Gheddafi, così di precludere in pratica qualsiasi ipotesi di soluzione negoziata. I patetici annunci degli insorti sull’imminenza della spallata finale per «liberare» Tripoli. La sufficienza per gli sforzi dell’Unione africana (e della Turchia) impegnata nella ricerca di una soluzione negoziata, la scarsa o nulla considerazione per le riserve esplicite di Russia e Cina sull’interpretazione «estensiva» data dall’occidente alla risoluzione Onu. Ora Sarkozy, Cameron, Rasmussen, Hillary e Frattini non sanno più che pesci pigliare. O decidono di scendere a terra con le truppe e mandare «the boots on the ground», ipotesi proibita dalla risoluzione Onu e sconsigliabile vista la piega presa dalle cose, o devono trovare una soluzione che salvi la faccia.
Difficile, però, a questo punto. Dopo aver detto e ripetuto, ogni giorno, che Gheddafi se ne deve andare dal potere e dalla Libia, che deve finire in ceppi alla Cpi dell’Aja, adesso dicono di aver affidato al mediatore Onu al Khatib, un giordano, l’incarico di presentare a Gheddafi un piano che prevede cessate-il-fuoco, un governo di transizione paritario (senza Gheddafi), un processo di riconciliazione, elezioni di una costituente, una costituzione. Ma con due novità, enormi: una, che non ci sarebbe più la condizione previa, sine qua non, di un Gheddafi fuori dal potere e che la sua uscita di scena dovrebbe essere parte del processo negoziale; due, che nessuno si opporrebbe più a quello a cui si sono opposti fino a ieri: che Gheddafi e figli possano restare in Libia una volta concluso il processo. Un percorso molto accidentato. Ma l’unico percorribile. Perché né la Nato né, tantomeno, gli insorti, mostrano di potercela fare.
Qualunque sia l’epilogo, il fallimento della Nato resta, clamoroso. E resta il discorso, ancora tutto da fare, sulle primavere arabe. Se e quanto hanno vinto, chi e come le hanno ingabbiate. Nena News
Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2011 dal quotidiano Il Manifesto

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Lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio




Lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio

La lettera
di Napolitano
a Berlusconi

Questo è il testo integrale della lettera inviata dal Presidente Napolitano a Silvio Berlusconi sulla recente istituzione di "sedi distaccate di rappresentanza operativa" a Monza
Lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio.
"Mi risulta che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie "sedi distaccate di rappresentanza operativa"; ho appreso altresì che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anziché Ministro senza portafoglio come gli altri tre).

Come ho già avuto occasione di sottolineare al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dott. Letta, la dislocazione di sedi ministeriali in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri.
E' altresì noto che la scelta di Roma capitale è stata costituzionalizzata con la riforma del titolo V della nostra Carta che, con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto "a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionali".
Infine, recentemente e sia pure in un contesto non univoco, nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio.
Quanto al contenuto dei citati decreti istitutivi devo rilevare che i Ministri emananti, Ministri senza portafoglio, hanno provveduto autonomamente ad istituire sedi distaccate, rispettivamente, di un Dipartimento e di una Struttura di missione, che costituiscono parte dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio.

Poiché ai fini di una eventuale sua elasticità, il decreto legislativo n. 303 del 1999, all'articolo 7, attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di adottare con DPCM le misure per il miglior esercizio delle sue funzioni istituzionali, ritengo che l'autorizzazione ad una eventuale diversa allocazione di sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, dovrebbe più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2002.
Peraltro l'apertura di sedi di mera rappresentanza costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale.

Tutt'altra fattispecie, prevista dalla stessa Costituzione e da numerose leggi attuative, è quella della esistenza, storicamente consolidata, di uffici periferici (come ad esempio i Provveditorati agli studi e le Sovraintendenze ai beni culturali e ambientali), che non può quindi confondersi in alcun modo con lo spostamento di sede dei Ministeri; spostamento non legittimato né dalla Costituzione che individua in Roma la capitale della Repubblica, né dalle leggi ordinarie, quale ad esempio l'articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, che consente di intervenire con regolamento ministeriale solo sull'individuazione degli uffici centrali e periferici e non sullo spostamento di sede dei Ministeri. Inoltre, il rapporto tra tali uffici periferici e gli enti locali va assicurato sull'intero territorio nazionale nell'ambito dei già delineati uffici territoriali di Governo.

Va peraltro rilevato che a fronte della scelta, non avente connotati di particolare rilievo istituzionale, di aprire meri uffici di rappresentanza, non giova alla chiarezza una recente nota della Presidenza del Consiglio, che inquadra tale iniziativa nell'ambito di "intese già raggiunte sugli uffici decentrati e di rappresentanza di alcuni ministeri sia al Nord che al Sud, come già in essere per molti altri ministeri", così preludendo ad ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei Ministeri tanto da consentire la prefigurazione, da parte di esponenti dello stesso Governo, di casuali localizzazioni in vari siti regionali o municipali delle amministrazioni centrali.

E' necessario ribadire che tale evoluzione confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica, nonché con quanto dispongono le leggi ordinarie attuative già precedentemente citate.
La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini, pertanto, non può spingersi al punto di immaginare una "capitale diffusa" o " reticolare" disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di Capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica.

Ho ritenuto doveroso, onorevole Presidente, prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità quale rappresentante dell'unità nazionale e garante di princìpi e precetti sanciti dalla Costituzione".

Roma, 28 luglio 2011


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La questione morale a Parma




La questione morale a Parma
 

I grillini:
"Non è sufficiente chiedere le dimissioni della Giunta 
per ridare dignità alla città".


La cronaca odierna mostra la fine di un pensiero politico, iniquo e immorale.
Stiamo vivendo un passaggio storico della nostra epoca cresciuta nella religione capitalista della crescita infinita di merci inutili a discapito delle risorse ambientali e delle persone.
Gli Stati Uniti, schiacciati anch’essi dal debito pubblico stanno cercando di evitare il default del loro Paese, il “mercato” attacca i Titoli di Stato italiani e il Presidente della BCE spinge i Governi verso ”riforme drastiche” al fine di evitare la morte dell’euro.
In questo contesto il Ministro Tremonti presenta una “manovra” che riduce i finanziamenti agli Enti locali e quindi riduce i diritti dei cittadini mentre il Comune di Parma, fra i più indebitati d’Italia, si trova a dover concludere opere faraoniche come il ponte nord, la nuova stazione di Parma e il complesso STU Pasubio.
Opere di cui i parmigiani non sentivano la necessità, e iniziate con la crisi economica già in atto.
Noi di Parma in MoVimento pensiamo che l’irresponsabilità di molte decisioni e la corruzione diffusa non siano che la punta di un iceberg che sta per affondare il nostro attuale modello di società.
Siamo amministrati da un élite degenerata che ha scambiato l'avarizia e lo spreco con lo sviluppo.
Da diversi decenni siamo stati programmati ad uno stile di vita inumano dove la carta moneta è divenuta più importante della vita umana, abbiamo assistito ad un lenta distruzione delle comunità e dei valori fondanti della nostra identità locale.
La maggior parte della società è cinicamente individualista, competitiva e praticamente imbarbarita dove la conquista per un posto di lavoro o la classe sociale valgono più dell’amore, più dell'amicizia, più della passione per le cose che contano, più del cibo che mangiano e più dei piccoli gesti quotidiani che riempiono la nostra esistenza. Siamo stati abituati a comprare e gettare, piuttosto che a riparare i nostri oggetti, ad avere piuttosto che dare, ad apparire piuttosto che essere.
Numerosi studiosi, politici, economisti, fondazioni culturali propongono un cambio di paradigma culturale poiché gli indicatori della “crescita” sono del tutto immorali e obsoleti. Ricordiamo brevemente che il PIL, il petrolio e l’espansione monetaria non misurano la qualità della nostra vita, anche se nel corso degli ultimi decenni numerose SpA con l’aiuto dei diversi media hanno cercato di influenzare il nostro pensiero col fine di produrre un loro arricchimento ma comportando un danno sociale alle nostre comunità.
Per ridare dignità a Parma bisogna quindi cambiare il modo di pensare, partendo dai noi stessi, applicando i nuovi indicatori che chiedono di misurare lo stato psicofisico delle persone, l’ambiente, la salute, l’istruzione, il peso politico dei cittadini, le relazioni sociali e il tempo libero. Tutti questi indicatori sono ben noti ma non rientrano ancora nei criteri di crescita degli Enti locali.
Chiunque può intuire che la qualità dell’ambiente è più determinante di un proficuo conto in banca poiché i tumori non tengono conto della ricchezza monetaria, ma pochi ricordano che questo semplice esempio non viene considerato dai Governi e quindi non influisce le scelte politiche.
Se i cittadini diventassero gli attori principali del processo decisionale, come chiedono gli indicatori della qualità della vita circa il “peso politico” e il “controllo delle scelte”, allora potrebbero essere loro stessi i responsabili di come destinare i soldi delle proprie tasse.
Per ridurre fortemente la corruzione è sufficiente applicare il principio di sovranità popolare e migliorare la qualità della democrazia con strumenti di democrazia diretta poiché così si aumenta la trasparenza delle decisioni e della gestione delle risorse.
Non è sufficiente chiedere le dimissioni di una Giunta comunale per ridare dignità a Parma, ma è doveroso iniziare un cambiamento di paradigma culturale e proporre un nuovo modello politico-decisionale in linea coi principi etici costituzionali. Non si tratta di proporre una riforma costituzionale, ma di mettere in pratica modelli sociali già esistenti attuabili solo da soggetti politici puri non collusi col potere bancario e con le SpA.
È necessario che i cittadini diventino parte integrante di questo cambiamento affinché la democrazia venga restituita al legittimo proprietario, al popolo sovrano.

Parma in MoVimento 5 Stelle

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Chi è Nitto Palma, Il profilo del nuovo Ministro della Giustizia



Chi è Nitto Palma, Il profilo del nuovo Ministro della Giustizia
Ex magistrato, è stato sempre molto vicino a Previti che tentò più volte di salvare con una legge ad personam. Tra battaglie per l'mmunità parlamentare e contro Tangentopoli, il nuovo Guardasigilli è stato definito dai suo compagni 
una "toga azzurra".

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Chi è Nitto Palma

Il profilo del nuovo Ministro della Giustizia
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Francesco Nitto Palma ha vinto il ballottaggio con Renato Brunetta e da oggi è il nuovo Ministro della Giustizia. La nomina (insieme a quella di Anna Maria Bernini, che avrà la delega per le Politiche Ue – ministro senza Portafoglio) è arrivata nel pomeriggio dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, su proposta del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Il successore di Angelino Alfano, nuovo segretario del Pdl, è nato a Roma nel 1950. Professionalmente, fino al 2001 – anno della scoperta della sua “vocazione” politica – è stato sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Roma. Prima del suo ingresso a Forza Italia, il nuovo Guardasigilli da magistrato ha affrontato alcuni fra i casi più scottanti della storia della Repubblica: dai processi di terrorismo come il caso Moro a quelli legati alla criminalità organizzata (Pizza connection, Nuova camorra organizzata, ‘Ndrangheta), passando per il caso Operazione Gladio e il “piano Solo”, ma anche Ustica e l’inchiesta sulla tragedia di Vermicino. E ‘ stato pure testimone di nozze di Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, che in questi anni non ha risparmiato frecciate allo stesso governo in cui ora Palma avrà uno dei ruoli più importanti.


Una vita e una carriera politica molto legata alla figura di Cesare Previti, quella del nuovo Ministro. E’ proprio in onore (e a favore) del suo amico che nel 2002, da poco approdato alla Camera, cercò di far approvare un emendamento che avrebbe congelato i processi di tutti i parlamentari, per tutta la durata del mandato. Una sorta di immunità parlamentare che oltre a Previti, avrebbe fatto comodo anche allo stesso premier. La legge “ad personam” non fu mai approvata, ma il futuro Ministro della Giustizia non si fece buttare a terra e qualche mese dopo ripropose l’emendamento sottoforma di proposta di legge, che prevedeva la possibilità di non essere sottoposti a procedimenti penali per la durata del loro mandato per parlamentari, ministri, capo dello Stato e giudici costituzionali. Ma anche quel tentativo si dissolse in un nulla di fatto. Ma ci sono state anche altre occasioni per dimostrare la propria inclinazione ai partiti “azzurri” e la fedeltà al Cavaliere. Nel 2003, infatti Palma presenta un testo per l’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare su Tangentopoli. Proprio lui che in passato era stato magistrato, ma che nel ’94 era vicecapo di gabinetto, quando l’allora Ministro della Giustizia, Alfredo Biondi, tentò di fermare l’inchiesta Mani Pulite con quello che l’opinione pubblica definì il decreto “salva-ladri”. “L’accertamento riguarderà tutte le indagini condotte sul finanziamento illecito ai partiti, ma anche l’eventuale uso politico della giustizia per fini strumentali al potere”, affermava il prossimo ministro della Giustizia. “Bisognerà capire come mai le indagini abbiano colpito in maniera seria alcuni partiti e solo marginalmente altri”.
Questo il commento di Massimo Donadi dell’Idv a margine della nomina a Ministro della Giustizia di Francesco Nitto Palma:
 L’uomo giusto, al posto giusto, con le inchieste giunte alla Camera e che travolgono parlamentari del Pdl, Alfonso Papa e Marco Milanese. L’uomo giusto, al posto giusto, con l’arrivo al Senato del processo lungo. E poi ancora, Mills, Mediaset, Mediatrade, Ruby. L’uomo giusto al posto giusto, nel momento giusto. Una candidatura di altro profilo. Appunto.
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Il governo ha posto la fiducia sul cosiddetto processo lungo. Lo ha annunciato in Aula al Senato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito.
Si conferma così la volontà di questa maggioranza di “immunizzare” dalla legge il presidente del Consiglio, impedendo alla giustizia di fare il suo corso. In barba ai milioni di italiani che ai referendum di giugno hanno detto basta alle leggi ad personam. Un altro insulto di questa maggioranza al Diritto e agli altri cittadini italiani, evidentemente considerati meno uguali davanti alla legge.

Approvare il provvedimento, infatti, rallenterebbe in maniera esasperante i processi fino alla loro prescrizione, perché consentirebbe alle difese di portare in aula tutti i testimoni che vogliono, indipendentemente dal parere del giudice, che sarebbe costretto ad ascoltarli per forza. Per fare un esempio concreto, gli avvocati di Berlusconi potrebbero allungare fino all’inverosimile il processo Mills semplicemente presentando liste lunghissime di testimoni, facendoli salire sul banco anche solo per dire che non ne sanno nulla.
Una furbata che, come sottolinea Antonio Di Pietro, sarebbe un enorme regalo ai criminali. “Se il buongiorno si vede dal mattino - dichiara il presidente Idv - siamo proprio messi male, visto che nel suo primo giorno da ministro Nitto Palma si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia. Infatti, oggi, con la fiducia posta al ddl sul processo lungo, peraltro d’iniziativa parlamentare e su cui il governo avrebbe fatto meglio a non metterci becco, l’esecutivo e la maggioranza dimostrano che per risolvere i problemi del ben noto imputato sono disposti ad allungare, fino all’inverosimile, decine di migliaia di procedimenti per non farli arrivare a sentenza”.
Di Pietro mette in guardia da queste norme che “permettono a Berlusconi di aggiustare i suoi processi e impediscono alla giustizia italiana di funzionare. Non a caso - dice -, viene colpita la norma varata all’indomani della strage di Capaci, con la quale veniva fatta salva l’acquisizione delle sentenze definitive, di modo che, anche nei processi di mafia, si potrà riaprire all’infinito la lista dei testimoni. Di fronte a tale scelleratezza - conclude Di Pietro - non resta che la mobilitazione di massa: costi quel che costi. E’ ormai improcrastinabile salvaguardare la democrazia e lo Stato di diritto”.


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D’Alema ha centrato il problema , quest’informazione è malata, e il sano e il diversamente intelligente è lui



D’Alema ha centrato  il problema 
quest’informazione è malata
e il sano e il diversamente intelligente è lui

DIVERSAMENTE INTELLIGENTI di Oliviero Beha

 Sono da sempre un coetaneo di Massimo D’Alema, e fin qui si spiega facilmente, ma anche un suo estimatore sia pure non in senso strettissimo. Noto quindi con una punta di dispiacere che dopo il tripudio delle domande postegli qui da Travaglio evase per modo di dire, la faccenda di Bersani, Penati e compagnia cantante e forse confessante e solo parzialmente dimettente, l’ha un poco oscurato dalle prime pagine. Solo un poco, giacché è noto anche se non conosciuto (distinzione filosofica familiare alla Normale di Pisa dove ha studiato senza dar loro la soddisfazione volgare di laurearsi) che dietro il Pd, sempre e comunque, c’è lui. Hai voglia a tenerlo basso, a dire che si è ridotto a essere “soltanto il presidente del Copasir”. L’intelligenza non si misura sulle cariche, anche se non gli sarebbe dispiaciuto cinque anni fa finire al Quirinale. Poi l’invidia degli uomini, partiti e arrivati, specie di coloro che gli erano magari vicini, l’ha tenuto lontano dal Colle. Non per questo ha mollato, né sagacemente si è fatto intrappolare da quella “iena inquirente” della Forleo sulle scalate bancarie intercettate, e neppure ha abdicato subito dopo dal ruolo e dalla responsabilità di “king maker” nei confronti di Veltroni, primo leader stagionale del Partito democratico a fusione fredda di Ds e Margherita, o di Bersani, lo stesso appena citato a proposito di Penati, il segretario che dice con chiarezza oculistica “bisogna tenere gli occhi aperti”. Se lui fa l’ottico, D’Alema quando si toglie gli occhiali, come si è visto giorni fa, è per mostrare i muscoli alla stampa, con la quale ha un rapporto come si sa conflittuale da sempre. Lui è diversamente intelligente da loro. E io – il coetaneo estimatore in senso vagotonico –, sono d’accordo con lui. So di dare un dispiacere ai colleghi ma come si fa, ripercorrendo quindici anni di intemerate che testimoniano di un disprezzo autentico e radicale per la stampa, a non dargli ragione? Dai tempi in cui diceva che “i giornali andavano lasciati nelle edicole”, alla ripetuta definizione di “iene dattilografe”, alla recente formula dedicata a questo giornale “tecnicamente fascista”, D’Alema ha centrato perfettamente e con cospicuo coraggio intellettuale il problema: quest’informazione è malata, e il sano e il diversamente intelligente è lui. Concordo, anche perché contrariamente a molti suoi colleghi – intendo e intende lui subalterni, naturalmente – non ha mai piazzato direttori, conduttori, editorialisti (anche giovani neoassunti? Sì, anche loro...) in tv, nei giornali, ovunque potesse nel sistema mediatico che detesta. Gli altri sì, lui no. Come avrebbe potuto, visto il disprezzo che giustamente riserva a questa categoria di straccioni? Dunque nessuna ipocrisia dal cosiddetto leader Massimo, né quando è alla ribalta né adesso che gioca una partita più da committente che da autocommesso. Sono certo quindi che Massimo prenderà in seria considerazione questa mia modesta proposta: rinunci alla pensione che gli paga l’Inpgi, il nostro istituto, facendolo figurare da giornalista per la pensione appunto con contributi detti figurativi che paga per lui la cassa comune, cioè l’insieme delle iene. Sarà un leader d’esempio anche in questo di un folto gruppo parlamentare che contempla giornalisti di complemento come Fini e Veltroni, Gasparri e Mastella e una scia di gente dalla doppia pensione. Rinunci: perché mischiarsi ai nostri privilegi, lui che da politico ha già i suoi e in dosi industriali tanto da far saltare la mosca al naso di un popolo ridotto allo stremo? Dai coetaneo, uno sforzino e ce la fai, tirati fuori dal brago di questa stampa “tecnicamente fascista”...

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mercoledì 27 luglio 2011

LINKS: MANDIAMOLI IN TILT , Flash Mob a Montecitorio





MANDIAMOLI IN TILT


Flash Mob a Montecitorio



Ora


venerdì 29 luglio · 12.00 - 13.00




Luogo


Creato da


Maggiori informazioni


“MANDIAMOLI IN TILT!” DAVANTI MONTECITORIO FLASH MOB CONTRO IL SISTEMA CHE HA PRODOTTO QUESTA FINANZIARIA: PER UN PRESENTE DIVERSO

Venerdì alle ore 12:00 in piazza Montecitorio si terrà “Mandiamoli in Tilt”, un flash mob promosso da una rete di movimenti, comitati, associazioni della sinistra diffusa: in piazza verrà riprodotta e abbattuta una prigione per raffigurare la condizione di precarietà e di assenza di prospettive per




LINKS: MANDIAMOLI IN TILT , Flash Mob a Montecitorio: "MANDIAMOLI IN TILT Flash Mob a Montecitorio Ora venerdì 29 luglio · 12.00 - 13.00 Luogo Piazza Montecitorio Roma Creato ..."

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martedì 26 luglio 2011

..AMORE..: Pdl e Lega sono covi di politici che fanno sesso c...

Pdl e Lega sono covi di politici che fanno sesso con gay e trans , e poi di giorno attaccano gay e lesbiche e osteggiano la legge contro l'omofobia


SPERO KE USINO PRECAUZIONI
SE POI VANNO CON LA MOGLIE



Pdl e Lega sono covi di politici che fanno sesso con gay e trans , e poi di giorno attaccano gay e lesbiche e osteggiano la legge contro l'omofobia




..AMORE..: Pdl e Lega sono covi di politici che fanno sesso c...: " SPERO KE USINO PRECAUZIONI SE POI VANNO CON LA MOGLIE Pdl e Lega sono covi di politici che fanno sesso con gay e trans , e poi di gio..."



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I blog possono essere strumento di riflessione personale, diari di viaggio, o tool per la pubblicazione di nuovi magazine e riviste indipendenti costruiti dal basso, con costi di gestione bassissimi ed estrema facilità di utilizzo per chi li mantiene.





Oggi i blog (dall’inglese web + log) sono uno degli strumenti di comunicazione online più usati ed efficaci. I blog aiutano piccole e grandi aziende a comunicare con i loro clienti in maniera diretta e trasparente, offrono a tanti una valvola di scarico e confronto su un range di argomenti che spazia dalla tecnologia alla politica. I blog possono essere strumento di riflessione personale, diari di viaggio, o tool per la pubblicazione di nuovi magazine e riviste indipendenti costruiti dal basso, con costi di gestione bassissimi ed estrema facilità di utilizzo per chi li mantiene.

La homepage di uno dei blog più popolari al mondo: Robert Scoble
Cosa vuol dire disegnare un blog
Disegnare un blog, vuol dire quindi dedicarsi a progettare il “look and feel”, e cioè l’aspetto più esteriore di questo nuovo strumento di comunicazione digitale. Per quanto siamo stati abituati a pensare che il design di un qualcosa sia un processo creativo ed un po’ irrazionale, l’approccio migliore per poter disegnare un blog di successo è poco legato alla creatività ed è invece strettamente connesso alla razionalità dell’organizzazione dei contenuti e dall’accessibilità e fruibilità degli stessi.

Information design
Attingendo dal campo dell’Information Design, sconosciuto ai più, ma decisivo per chiunque voglia fare della comunicazione visiva uno strumento di persuasione efficace, possiamo attingere e trasferire nella progettazione di un blog alcuni principi sempre validi.
L’Information Design suggerisce di guardare al design dell’informazione in termini di efficienza e concretezza. Rendere l’informazione accessibile, leggibile, navigabile e comprensibile è per l’Information Designer più importante che rendere le informazioni “più carine” decorando ed aggiungendo elementi visivi o grafici per questo specifico scopo.



Elementi di design in un blog
Overall page layout
La cosa importante da fare su questo fronte è quella di rendere la struttura visiva della pagina del tuo blog organizzata in maniera che l’utilizzatore possa identificare al volo le seguenti componenti essenziali:
• Nome del blog
• Nome dell’autore -Redazione – info sugli stessi
• Temi affrontati -area di interesse
• Categorie dei contenuti
• Come contattare la redazione (email, Skype, telefono, fax, etc.)
• Articoli più recenti
• Area per sottoscriversi via email o RSS alle ultime notizie

E’ importante che questi elementi non siano in conflitto fra di loro per una supremazia visiva nella pagina, ma che si comportino tutti in maniera discreta, facile da trovare e leggibile.
Color – background
E’ sempre una buona idea partire in maniera umile e moderata su questo fronte, focalizzando gli sforzi sul rendere le pagine semplici, pulite e facili da navigare. Background che utilizzino immagini fotografiche, decorazioni o altri elementi grafici sono da evitare nella maniera più assoluta.
Lunghezza di riga
Uno degli elementi essenziali nel determinare l’effettiva leggibilità di qualsiasi testo online, è spesso la più trascurata. Per poter rendere di facile lettura qualsiasi brano di testo, numerose ricerche hanno dimostrato che la lunghezza ideale di riga non dovrebbe superare le 10-12 parole. Questo fa sì che le righe di testo siano relativamente corte e facilita il passaggio da una riga alla successiva per l’occhio del lettore.
Caratteri
Per il carattere tipografico la scelta è nuovamente condizionata da fattori di usabilità ed accessibilità. E’ cioè più importante che tutti i tuoi lettori possano vedere correttamente e nella maniera prevista i contenuti del tuo blog piuttosto che avere dei caratteri o delle font speciali che una parte dei tuoi lettori non potrà vedere nella maniera prevista. Ciò è dovuto al fatto che non tutti i browser ed i sistemi operativi utilizzati dagli utenti Internet si comportano nella stessa maniera quando in presenza di caratteri particolari. Per ovviare a tali inconvenienti è buona regola adottare inizialmente caratteri come Arial, Verdana o Times che sono ampiamente supportati da tutti i tipi di device connessi ad Internet.
Allineamento – Giustificazione
In mancanza di sistemi di sillabazione adeguati è sempre bene impostare la giustificazione di testi online “a bandiera” di modo da evitare fastidiosi e artificiosi spazi fra le parole.
Chunking
Il chunking è un approccio alla formattazione dei testi che mira a “scomporre” i contenuti nel maggior numero di blocchi possibili. Un po’ come avviene in una poesia. Quindi a diversità di libri e riviste che spesso pubblicano brani di testo di più paragrafi in un unico blocco, il vostro intento sarà quello di separare in blocchetti distinti tutti quei paragrafi di senso compiuto che potrebbero in qualche modo vivere di luce propria.
Il “razionale” dietro questo approccio è il fatto che numerosissime ricerche dimostrano che il lettore online ha un “attention-span” molto ridotto e scandisce rapidamente le informazioni che incontra per poter capire nel minor tempo possibile se queste soddisfano alle sue immediate necessità. Quindi il lettore web non leggerà i tuoi articoli dall’inizio alla fine, ma scorrendo lungo il margine sinistro con il suo sguardo, cercherà rapidamente di identificare se i contenuti offerti rispondono a quanto lui o lei sta cercando.
Una regola ferrea da adottare per realizzare un chunking efficace è quella di non andare mai a capo dopo un punto. O si prosegue dopo il punto sulla stessa riga con la nuova frase, o si va a capo, lasciando una bella riga vuota ed iniziando un nuovo paragrafo.
Bolding e Linking
Nell’ottica di poter ulteriormente facilitare l’opera di scansione dei contenuti tipica del lettore web, sarà poi un’ottima idea quella di utilizzare il neretto per poter enfatizzare visivamente le prime tre o quattro parole di paragrafi particolarmente significativi.
A diversità quindi del tradizionale approccio dove il neretto è utilizzato nel bel mezzo di frasi per enfatizzare gruppi di parole di una certa importanza, il mio suggerimento personalissimo è quello di usare il neretto per evidenziare la rilevanza di alcuni paragrafi.
E’ ovvio che questo approccio va usato con parsimonia ed intelligenza editoriale e certamente non ad ogni paragrafo. In sua vece, è possibile talvolta utilizzare link che forniscano approfondimenti, definizioni o ulteriori informazioni su quanto scritto. Il linkare alcune parole nel testo le rende più visibili ed ha quindi un effetto simile e paragonabile a quello del neretto appena citato. Una cosa che invece non va mai fatta è utilizzare il “sottolineato” visto che questo elemento di stile è già utilizzato dai collegamenti testuali nelle pagine web (link) e trarrebbe perciò in inganno il lettore (che potrebbe pensare che cliccando una parola si raggiunga un’altra destinazione quando in realtà non sarà così).
Titolazioni degli articoli
I titoli sono senza ombra di dubbio uno degli strumenti strategici più importanti nel poter ottenere un certo riscontro in termini di traffico per il lavoro pubblicato online. Purtroppo pochi capiscono che il web è come una infinita libreria di informazioni, ma a meno che queste siano “etichettate” in maniera appropriata, solo i vostri amici e conoscenti saranno in gradi di trovarle. Imparare la scienza di come titolare i vostri post online determina la differenza che esiste fra i blog usati come diari personali ed i blog utilizzati come strumenti di comunicazione professionale sul web.
Per imparare le fondamenta di come scrivere titoli efficaci per il web, ogni volta che dovrai scrivere un titolo per un tuo articolo ti suggerisco di adottare questo semplice test. Scrivi le prime tre o quattro (non di più) parole del tuo titolo dentro Google e fai una ricerca. Se i risultati che ottieni nella prima pagina dei risultati di questa ricerca contengono articoli ed informazioni sullo stesso argomento di cui tu hai scritto, hai fatto un buon lavoro di titolazione. Se invece non dovesse essere così torna alla casella numero uno e riprova.
Raccomandazioni
Morale di questa introduzione al design di un blog è il messaggio che la bellezza e la “professionalità” del tuo blog sarà determinata molto di più da elementi pragmatici e razionali come quelli che ho qui elencato piuttosto che da particolari soluzioni di design creativo. E’ attraverso un’altissima cura ed attenzione per i dettagli che la “bellezza” del tuo blog emergerà spontaneamente.
Lo so, ci sarebbe tanto di più da dire, per esempio sull’uso delle immagini, sulle tematiche da usare o sullo stile di scrittura, ma per ora vada questo set di principi e consigli per gettare le fondamenta del tuo primo blog, specialmente se il tuo obiettivo è quello di farne uno strumento di comunicazione professionale sul web, che ti dia credibilità, visibilità e forse, anche ulteriori guadagni.
Be smart, be independent, be good.


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