Le Carte Parlanti

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lunedì 30 agosto 2010

Rai, Beha: Sono stato censurato




Niente più appuntamento serale con il giornalista all’interno del tiggì della terza rete. Su di lui la censura di Viale Mazzini.

“Sono stato censurato, estromesso“.Oliviero Beha a Radio 24, durante il programma “Nove in punto”, ha annunciato la fine della sua rubrica settimanale all’interno del Tg3. Salta dunque Beha 033 RT8 234x300 Rai, Beha: Sono stato censurato. Salta la rubrica al Tg3l’appuntamento della domenica sera di analisi e commento del “rapporto tra calcio e societa’ ed il contorno di interessi economici ed aspetti sociologici che normalmente e’ terra di nessuno” ha aggiunto Beha.



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FREE - WEB: LA MARCHESA CASATI, L’ANTESIGNANA DELLE VELINE. AN...




FREE - WEB: LA MARCHESA CASATI, L’ANTESIGNANA DELLE VELINE. AN...: ". . Casati era il proprietario della Villa di Arcore, quella che Berlusconi con l’aiuto di Previti ha zanzato all’unica erede per una..."

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I TOPI E IL COLONNELLO Gheddafi




Gheddafi ha vasti interessi in Europa, non solo in Italia, eppure il nostro Paese è l’unico che si presti anima e corpo alle sceneggiate del colonnello libico: per la seconda volta nel giro di un anno, Roma sarà praticamente bloccata  dal caravanserraglio del despota, dalle sue tende, dai suoi cavalli, dai suoi capricci. Il cavaliere, autocrate assoluto con i suoi servi, davanti alla chioma unta e nerastra di Gheddafi si fa ronzino e arriva persino al baciamano come abbiamo potuto vedere.
Tutto questo per mantenere quattro atroci campi di concentramento in Libia che fra l’ altro non servono assolutamente a niente, nemmeno a fermare gli sbarchi che comunque sono una quota marginale dell’immigrazione?
Certamente no, questo è solo un pretesto per i babbei a cui ormai si può far ingollare di tutto. In realtà si tratta di affari personali del premier che con il colonnello ha interessi una tv interaraba e di affari del suo entourage affaristico, Impregilo, Marcegaglia e via dicendo. Quindi se il colonnello viene a Roma come se fosse una sua colonia, niente da obiettare: il cliente ha sempre ragione.
Naturalmente parliamo degli interessi che conosciamo: il fatto stesso che essi vengano citati solo sommessamente dai media di regime, lascia spazio al cattivo pensiero che ne esistano altri i cui file sono nascosti. Tanto più che poi gli affari veramente grossi e strategici come quello dell’estrazione del petrolio nel golfo della Sirte, vengono affidati ad altri, agli inglesi della BP gli stessi del disastro al largo della Louisiana.
Tutto questo mondo verminoso e sotterraneo lo possiamo immaginare. Ma credo che ci sia anche un ‘altra ragione per questo servilismo senza vergogna che probabilmente  disgusta persino l’elettorato di Silvio. Il fatto che il nostro sistema produttivo, dopo un decennio di berlusconismo, è messo  così male da doversi attaccare agli spazi lasciati liberi da altri anche a costo di fare i buffoni. La nostra è ormai un’economia  che vive di interstizi tra i muri maestri di quelle più grandi. Un’economia da topi.
Fatto sta che mentre gli inglesi hanno conquistato il petrolio libico liberando Al Megrabi, l’organizzatore  della strage di Lockerbie, il nostro governo e l’apparato economico che lo sostiene, conquisteranno le nostre briciole facendo incarcerare, deportare e torturare migliaia di persone. I topi hanno un muso, non una faccia.

Fonte : Il Simplicissimus2


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domenica 29 agosto 2010

L'Aquila, tafferugli col popolo delle carriole



L'Aquila, tafferugli alla "Perdonanza"
"Letta vattene, Cialente vergogna"

"Alle 3e32 io non ridevo" hanno gridato i manifestanti al passaggio del sottosegretario su Corso Federico II. Molta tensione nonostante l'invito del sindaco alla ''non belligeranza''

di PIERA MATTEUCCI


L'AQUILA - "Il Gran rifiuto della cricca", "Celestino sarebbe stato con le carriole", "Letta vedi de jittene", "Zona rossa di vergogna", "Alle 3.32 io non ridevo": hanno atteso che il corteo della Bolla partisse da Piazza Duomo, con in testa il mezzo dei vigili del fuoco che trasportava le spoglie di San Pietro Celestino. Poi, il popolo delle carriole e un gruppo di rappresentanti dei comitati cittadini hanno srotolato gli striscioni e, al passaggio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta, hanno dato il via a cori di protesta, ricordando che il cuore della città è ancora una 'zona rossa', piena di macerie e in cui è impossibile accedere.

La 716ma edizione della Perdonanza celestiniana, oltre ad essere la festa religiosa e spirituale più importante della città (qui ogni anno viene aperta la Porta santa, l'unica oltre quella di Roma, che però si apre ogni 25 anni), è stata l'occasione per sottolineare ancora una volta, davanti ai cittadini, ai turisti e ai tantissimi giornalisti che hanno seguito l'evento, la situazione in cui si trova il capoluogo dell'Abruzzo a sedici mesi dal sisma.

"Rispettiamo solo i pompieri" hanno gridato i contestatori, che poco dopo hanno intonato slogan contro i potenti del G8, contro le cricche e contro chi nel terremoto che ha distrutto L'Aquila ha trovato una grande fonte di speculazione e guadagno. Alla fine, però, la contestazione ha lasciato spazio allo spettacolo del corteo in costumi storici e ai tamburi degli sbandieratori. Il popolo delle carriole, ordinatamente, si è accodato ai figuranti, intonando a una sola voce 'L'Aquila bella me'.

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sabato 28 agosto 2010

L’Afghanistan ci costa 51 milioni al mese, Gino Strada



L’Afghanistan ci costa 51 milioni al mese, Strada: “E non sanno neppure dove si trova”


L’Afghanistan ci costerà 51 milioni al mese, quest’anno. A fronte dei 45 dell’anno scorso. In febbraio il Senato ha votato il rifinanziamento della missione, e da giugno la spesa sarà ancora più alta. La Russa l’ha detto: arriverà un altro migliaio di sodati. Eppure l’invio e la permanenza del nostro contingente, a fronte del “pantano” che la missione si sta dimostrando essere, sembra collimare sempre meno con l’articolo 11 della Costituzione, quel “L’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali” fin troppo ignorato.
Gino Strada, di Emergency, è del tutto contrario alla riconferma dell’invio di nostri soldati. ”Vivo questo voto con l’animo disgustato da questa classe politica, che definisco di delinquenti politici. Perché quando una classe politica, la stragrande maggioranza del parlamento, vota contro la Costituzione del proprio paese, delinque contro la propria Costituzione, quindi il termine è appropriato. Oltre questo – ha continuato Strada – c’è lo sdegno per chi non vuol vedere la strage di civili che sta avvenendo in questi giorni, proprio in queste ore, dove si stanno compiendo crimini di guerra inauditi. Non solo si massacrano civili ma si impedisce che i feriti vengano evacuati negli ospedali. Di questo, ovviamente, abbiamo numerose testimonianze, da parte dei pochi che sono riusciti a superare i cordoni che le forze di occupazione hanno disposto intorno ai luoghi dei bombardamenti. Chiediamo ancora, con forza, che si apra un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile di Marjah“.
Il capo dell’associazione volontaria ha poi un appunto da fare sui mezzi del contingente italiano. Il ministro della Difesa aveva assicurato: i nostri velivoli non possono portare agli errori cui hanno condotto i militari americani. ”Al ministro chiedo, e allora cosa sono i nostri, aerei da turismo? – ha commentato, duro, il medico – Cosa fanno, portano in giro i turisti a vedere i bombardamenti? Cosa ci fanno gli aerei militari in zone dove si sta bombardano? Sono affermazioni ridicole. Piuttosto, possiamo indicare alcuni dei pericolosi terroristi feriti dalle operazioni militari nella zona di Marjah. Feriti, perché i morti non li vediamo. Un ragazzo di 10 anni di nome Fasel, una bambina di 12 di nome Rojah che stava prendendo acqua al pozzo e si è presa una pallottola in un fianco, Said, di 7 anni, con una pallottola nel torace, un bambino di 9 anni di nome Akter che stava guardando dalla finestra quando gli hanno sparato in testa… questi sono i talebani“.
“I nostri politici – ha detto Gino Strada – non sanno niente dei talebani, non sanno di cosa parlano. Non saprebbero nemmeno indicare l’Afghanistan su una cartina muta. Purtroppo, questa è la gente che prende decisioni costano la vita a tanti afgani. E che costa una quantità di soldi impressionanti agli italiani. Siamo un paese dove si perdono centinaia di migliaia di posti di lavoro e si buttano via centinaia di milioni in una guerra per sostenere questo piuttosto che quel governo afghano. Mi piacerebbe avere un parlamento decente. Sull’Afghanistan continuano a dire agli italiani bugie clamorose, palle gigantesche. L’unica cosa da fare è smettere di sostenere questa classe politica. Io, personalmente, mi rifiuto di andare a votare. Lo farò quando ci saranno politici degni di questo nome”.

Vincenzo Marino

http://www.newnotizie.it/2010/05/19/lafghanistan-ci-costa-51-milioni-al-mese-strada-e-non-sanno-neppure-dove-si-trova/



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SPRECHIGI



SPRECHIGI - GLI SPREKI DI PALAZZO


Dalle radio della Guerra Fredda alla "Memoria del Futuro", dal Concordato alla biosicurezza: ecco i 90 comitati della presidenza del Consiglio. Uffici spesso inutili ma con migliaia di poltrone e consulenze
C'è un ufficio a Roma che teme ancora la Jugoslavia comunista. Un comitato, inventato nel 1956, con il compito di regolare le trasmissioni della neonata Rai nel territorio di Trieste. Divisa in zone dopo la seconda guerra mondiale. Bene, quell'ufficio esiste ancora. Poco importa se il muro di Berlino è crollato, i confini non ci sono più, la Slovenia fa parte dell'Unione europea e la Rai si vede bene pure da Lubiana. Ad aprile il governo Berlusconi l'ha rinnovato per l'ennesima volta con precisione svizzera. Un presidente e un drappello di consulenti scelti fra esperti ministeriali, direttori in pensione ed ex politicanti a caccia di un posto al sole. A Trieste nemmeno si ricordavano di doverli indicare: «Non lo dica a noi, stiamo aspettando i nomi dal Comune e dalla Provincia. In più c'è un membro del ministero delle Poste e un esperto nominato dal governo», ribattono alla presidenza del Consiglio. Pure se lo domandi ai triestini del Corecom, il comitato regionale di controllo sulle trasmissione radiotelevisive, cascano dalle nuvole: «Il comitato statale? Era stato abolito. Abbiamo assunto noi quelle competenze ».

Dopo un paio di giorni, però, qualcuno ci ripensa: «Forse ci siamo sbagliati, abbiamo le competenze di un altro comitato che adesso non c'è più. Quello potrebbe esistere ancora». Una svista? Macché. Ne sopravvivono a decine di uffici fantasma alla presidenza del Consiglio. Su Internet ne compaiono una trentina al massimo, quelli più attivi.

Ma un elenco completo esiste. "L'espresso" l'ha trovato: novanta strutture spesso doppioni di altre, passate incolumi lungo le due Repubbliche. Nulla ha potuto il rogo delle leggi obsolete appiccato dal ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli. Nulla il taglio degli enti inutili che ha cancellato 480 poltrone giudicate «spreco», lasciandone tuttavia in vita più di mille. Sotto l'ombrello del potente segretario generale Manlio Strano ce ne sono addirittura di più. Capaci di sfilarsi dalla Finanziaria di Giulio Tremonti, che ai ministri ha fatto versare lacrime e al premier ha lasciato le consulenze praticamente intatte.

Così, mentre gli ospedali tagliano letti per far quadrare i conti e la polizia prende il taxi perché non ha i soldi per la benzina, a Palazzo Chigi uno stipendio non si nega a nessuno. Alla faccia della devolution, è a Roma che si studia da decenni la toponomastica di Bolzano. Nomi di strade in tedesco ma conti all'italiana. C'è poi un comitato per la difesa non violenta, uno per l'infanzia e un altro con l'arduo compito di «rafforzare la classe dirigente del Paese». Ci sono gli esperti di sicurezza dei trasporti, quelli del credito agevolato. E c'è un commissario per ogni alluvione, smottamento o temporale si abbatta sull'Italia. Individuarli nel mare dei denari pubblici che annaffiano la Presidenza del consiglio non è impresa facile.

Nei bilanci, infatti, comitati, commissari e commissioni si mimetizzano fra i capitoli di spesa. Milioni di euro nascosti fra la paga dei dirigenti, il leasing per le nuove auto blu, il boom di missioni estere, arredi e manutenzioni. Eppure anche quest'anno i fondi previsti per foraggiare questi uffici fantasma sono oltre 12 milioni. Di cui circa 2,2 servono a elargire gettoni di presenza. Si passa da super-uffici come il comitato nazionale permanente per Mediocredito che nell'ultimo bilancio pesa per 1 milione 789 mila euro, agli 849 mila del Dipartimento innovazione, ai 424 mila per le politiche comunitarie, fino a 1 milione 105 mila euro per la struttura che avrebbe il compito di rilanciare l'immagine dell'Italia.

«Sono organismi a durata temporanea che si occupano di questioni urgenti», ribattono a Palazzo Chigi. Già. Come quello che ha il compito di attuare gli accordi fra Stato e Chiesa dopo il Concordato del ?€˜29, rivisto nel 1984. Gli uffici sono addirittura due: uno studia l'accordo, l'altro si occupa di interpretare eventuali incomprensioni. Perché, come si dice, due teste sono meglio di una. Soprattutto se a rimborso spese. Quando va bene si riuniscono tre volte l'anno, rivelano alla segreteria, e scavano negli accordi fra Italia e Santa Sede. Se si prova a chiamare Palazzo Chigi per chiedere a che punto siano i lavori e se ci sia qualche nodo irrisolto che ancora sfugge al Paese, la risposta è sempre la stessa: «Le inviamo la pubblicazione prodotta dal comitato. Lì potrete trovare tutte le risposte che vi interessano». Eccola: si intitola "Dall'accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa". Niente data. In copertina l'immagine di Giovanni Paolo II in preghiera ad Assisi coi capi delle altre religioni. Era il 27 ottobre 1986. L'introduzione è di Giuliano Amato, quand'era presidente del Consiglio. La prima volta era nel 1992.
Se c'è in ballo un'emergenza, non si bada a spese. L'esempio della Protezione civile fa scuola. La struttura di missione messa in piedi per organizzare gli aiuti a L'Aquila ha fatto schizzare i conti di Palazzo Chigi da 4,2 miliardi a più di 5 miliardi. Un aumento forse indispensabile. Solo che lo stesso meccanismo va avanti da anni anche per la Torino- Lione, che emergenza non è. Nel 2002 fu nominato un comitato per supportare la delegazione italiana per la Tav, nominata già nel 1996 per velocizzare l'opera. A distanza di 14 anni, non soltanto la Torino-Lione ancora non c'è, ma gli organismi pubblici nel frattempo si sono moltiplicati: «Ora stiamo pagando una commissione che fa consulenza a un commissario.

Eppure quel commissario ha già alle sue dipendenze un'altra struttura identica, istituita anche stavolta dalla presidenza del Consiglio, che fa la stessa consulenza », riassumono i giudici contabili. Non bastasse, dal 2005 gli esperti sono cresciuti in numero e costi. Prima ce n'era uno soltanto, poi due, poi tre, fino ai sei attuali. Lo stesso trend della commissione per il recepimento delle direttive europee. Nel 2002, quando l'Italia era appena entrata nell'euro ed era tutto da fare, bastavano 12 esperti per sbrigare le pratiche. Oggi invece ne servono 29. Spesso incompetenti. Secondo la Corte dei conti, infatti, queste figure tecniche «non sempre presentano i requisiti peculiari dell'istituto e appaiono sovrapponibili a quelli dell'amministrazione ». Dubbi anche sui tempi del mandato: «La durata si protrae a tal punto da non poter essere più definita temporanea». Con questo meccanismo, a ogni urgenza corrisponde un nuovo ufficio. Poi l'emergenza finisce e l'ufficio rimane. Durante il governo Berlusconi le strutture di missione foraggiate sono diventate 24. Storie di sprechi una simile all'altra. A partire da quelle che dovrebbero servire, sulla carta, a ridurre la spesa pubblica.

Per tagliare enti e leggi, infatti, era nata la cosiddetta "Unità per la semplificazione". Tanto ha semplificato da essere passata da 12 a 16 componenti nel giugno 2008. Una squadra di tre dirigenti, pagati per coordinare quattro funzionari, con la possibilità di assumere altri 12 esperti.

Al solito. O come la struttura che dovrebbe valutare l'impatto finanziario delle leggi. Nel 2003 contava 15 esperti, oggi sono saliti a 20 con un impatto finanziario, appunto, che per ora pagano i cittadini. Quando il centrodestra l'ha prorogata nel maggio 2008 ci ha pure aggiunto un posto da dirigente generale con compiti di studio. Al punto da prendersi la censura della Corte che già nell'aprile 2009 parlava di «incarichi non giustificabili». Se anche i tagli sfiorano Palazzo Chigi i superstiti sono sempre parecchi. Basta guardare l'Ente italiano per la montagna. Ha cambiato un paio di nomi, ma è sempre al suo posto. Una sforbiciata di organismi l'ha subita, spiegano a Palazzo Chigi. Peccato che restino in carica un consiglio direttivo e un comitato scientifico, oltre agli immancabili revisori dei conti. Ogni premier sceglie un suo presidente. E così Silvio Berlusconi ha nominato Massimo Romagnoli, un ex deputato di Forza Italia, al posto del prodiano Luigi Olivieri. Nella Finanziaria dei tagli, poi, Tremonti ha lasciato 407 mila euro diretti all'Agenzia nazionale per i giovani. Una missione sponsorizzata da Bruxelles, spiegano al dipartimento di Palazzo Chigi. Ma sorvolano sulla composizione: 34 membri. Il presidente è un ex dirigente dei giovani di Alleanza nazionale, Paolo Giuseppe Di Caro, rimasto fuori dal Parlamento e ripescato su indicazione governativa all'Ang, che gli passa uno stipendio da 101 mila euro. Largo ai giovani, si dirà. Perché Di Caro non si sente di certo solo. A tenergli compagnia, fra dirigenti e collaboratori, c'è una squadra da altri 450 mila euro l'anno.

L'esercito di esperti è quasi sempre fatto di «ex qualcosa»: professore o burocrate, generale in pensione o politico trombato, dirigente o assessore ripescato dal sottobosco dei partiti. Sono loro che mandano avanti la baracca dei comitati. Ce n'è uno per il turismo, che costerà circa un milione. Un altro si occupa di politiche comunitarie e spende 424 mila euro. C'è la struttura permanente per il Mediocredito che chiude a 1,7 milioni e, ancora, il comitato per la minoranza slovena, quello per l'accesso ai documenti amministrativi, per la statistica e per l'innovazione tecnologica. Una commissione assegna invece i vitalizi agli sportivi, un'altra i premi alla cultura, un'altra ancora aggiorna il protocollo dei vip. Secondo la Corte dei conti, questi cosiddetti esperti, tanto esperti non sono. Spesso anzi il curriculum è la fotocopia di profili già presenti (e stipendiati) nella pubblica amministrazione. Quei fannulloni, per dirla con Brunetta, che nemmeno volendo potrebbero fare gli straordinari a piazza Colonna, visto che a sbrigare il lavoro ci pensano i sosia a gettone. E se l'etica nella scelta dei consulenti qualche dubbio lo solleva, in fatto di bioetica l'Italia sta in una botte di ferro. Di commissioni temporanee, diventate permanenti, ce ne sono addirittura due. E quella che si occupa di biosicurezza, tecnologie e scienza della vita conta un numero di dirigenti, esperti e consulenti che da soli fanno un consiglio regionale. Dal presidente Leonardo Santi dell'università di Genova, alla pattuglia ministeriale da 14 delegati fino all'immancabile corazzata di esperti: quindici professori in viaggio verso la capitale da Milano, Napoli o Pavia.
L'ultimo nato di Palazzo Chigi ha un nome piuttosto evocativo: comitato per la memoria del Futuro. Dura in carica cinque anni, naturalmente rinnovabili. È datato 2009, dopo la conferenza di Barcellona che si propose di trasformare il Mediterraneo in una spazio comune. Nella pratica gli esperti dovranno «promuovere relazioni internazionali », magari svolazzando nei paesi interessati. Che sia roba grossa si capisce al volo. Il presidente è Gianni Letta. Per il resto è un elenco di ambasciatori, professori, archeologi e superdirigenti da Joaquin Navarro Vals, ex portavoce di Giovanni Paolo II, al presidente dell'Ice Umberto Vattani fino a Irene Pivetti. E se mai ce ne fosse bisogno, l'articolo 2 apre le porte ad altro personale.

Stavolta, però, a piazza Colonna mettono le mani avanti: «Non derivano oneri a carico di Palazzo Chigi», spiegano dalla segreteria. E chi paga le missioni? «Le amministrazioni di appartenenza del personale ». Cioè sempre lo Stato. L'obiettivo finale è nobile. Una rete di musei «in cui figurino, l'uno accanto all'altro, elementi costruttivi capaci di testimoniare visivamente l'unitarietà di fondo della cultura mediterranea». E forse prima o poi nascerà l'ennesimo comitato. Stavolta certamente utile, almeno a spiegare a un italiano medio che cosa significhi quella frase.

di Tommaso Cerno e Primo Di Nicola

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Merkel blinda la libertà di stampa




La Merkel blinda la libertà di stampa
pubblicabili anche le notizie top secret
Il governo tedesco cambia il Codice penale e sottrae i giornalisti alle pene per la rivelazione di informazioni riservate. Una decisione in controtendenza rispetto alle scelte dei governi italiano e francese

di : ANDREA TARQUINI

La Merkel blinda la libertà di stampa pubblicabili anche le notizie top secret

BERLINO - Per il centrodestra tedesco guidato da Angela Merkel, la libertà di stampa è un valore costitutivo della democrazia, e quindi non solo va difesa ma anche rafforzata. Il governo federale ha approvato ieri un disegno di legge volto appunto a proteggere maggiormente i giornalisti, in particolare quando diffondono informazioni riservate o segreti istruttori. La nuova legge stabilisce con chiarezza inequivocabile che solo le fonti le quali passano le informazioni riservate, ma non i giornalisti stessi, possono essere perseguite in base al diritto penale.

Il disegno di legge, approvato dopo un lungo dibattito interno, prevede, con un emendamento al codice penale, che non sia più possibile per la magistratura perseguire i giornalisti per concorso nella violazione del segreto su notizie riservate. All'origine della scelta della Merkel c'è una sentenza d'appello emessa nel 2007 dalla Corte costituzionale a favore del mensile politico di Amburgo "Cicero". La testata aveva presentato ricorso contro un verdetto di prima istanza, relativo a una perquisizione effettuata dalla polizia nel 2005 nei locali della redazione a seguito della pubblicazione di un articolo che criticava con informazioni precise mondo politico e servizi.

I giudici supremi avevano deciso che quella perquisizione aveva violato il Grundgesetz, cioè la Costituzione federale. Perquisizioni e sequestro di materiale in possesso di giornalisti o di redazioni sono contrarie alla legge fondamentale nel caso in cui vengano ordinate ed effettuate al solo scopo di individuare la eventuale "gola profonda". La magistratura aveva indagato nel caso dell'articolo pubblicato da "Cicero" perché questo faceva riferimento a un rapporto riservato dell'Ufficio criminale federale (Bka, in sostanza lo Fbi Tedesco) definendolo appunto come "dossier sotto chiave", ma spiegandone il contenuto.

Rispetto alle argomentazioni degli esponenti più conservatori, che difendevano l'esigenza di proteggere la riservatezza di informazioni e documenti confidenziali in mano alle istituzioni, l'esecutivo della Merkel ha deciso di privilegiare invece il diritto dei media a informare liberamente, e quello dell'opinione pubblica a informarsi ed essere informata. Una decisione, quella tedesca, che va in direzione diametralmente opposta rispetto agli orientamenti di altre maggioranze conservatrici al governo in Europa, dal centrodestra italiano alle ultime spinte nella Francia di Sarkozy. E uno strappo con le frequenti passate abitudini dell'establishment Tedesco - abitudini sia dei conservatori sia a volte della Spd, quando era al potere - di cercare con mezzi sottili o apertamente di controllare o condizionare la libertà dei media.

La nuova legge federale voluta dalla Merkel e dalla ministro della Giustizia, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, introduce una importante modifica, inserendo un emendamento correttivo all'articolo 335b del codice penale. Tale articolo prevede la punibilità dei pubblici funzionari che rivelano segreti d'ufficio, con pene fino a cinque anni di reclusione. È accaduto in passato, come nel caso eclatante del Blitz del 2005 nella redazione di Cicero, che i magistrati applicassero quell'articolo del codice penale anche contro i media. Di fatto, aveva reclamato il mondo della stampa, si giungeva così al risultato di limitare la libertà d'informazione subordinandola alla difesa dei segreti e delle notizie riservate. Un nuovo paragrafo dell'articolo escluderà il concetto di "concorso in divulgazione di notizie riservate", cioè proprio quel concetto che consentiva di colpire la stampa. In futuro in Germania i giornalisti non commetteranno più reato con la pubblicazione di materiale riservato fornito loro da qualsiasi altra fonte.

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venerdì 27 agosto 2010

Liberate Sakineh vittima di un castigo barbaro


Liberate Sakineh
vittima di un castigo barbaro



PARIGI - "Ma come fanno a prepararsi a mirare al mio viso e alle mie mani, a lanciarmi delle pietre? Perché? Sono Sakineh Mohammadi-Ashtiani. Dite a tutto il mondo che ho paura di morire. Dalla prigione di Tabriz ringrazio quelli che pensano a me". Sono le ultime parole credibili con le quali la donna iraniana di 43 anni, madre di due figli, chiede aiuto. Condannata per adulterio e per complicità nell'omicidio del marito, dopo quelle frasi uscite tramite un'organizzazione umanitaria dal carcere, Sakineh è stata costretta a una finta confessione in tv e il suo avvocato, Mohammed Mostafei, è dovuto fuggire in Norvegia.

CLICCA QUI PER ADERIRE ALL'APPELLO 1

Ma da quando Mostafei ha fatto conoscere al mondo la vicenda di Sakineh, si sono moltiplicati gli appelli e le richieste anche ufficiali al governo di Teheran perché la donna non venga uccisa. L'ultima iniziativa, che da oggi si può firmare su Repubblica. it, è una lettera di intellettuali francesi che chiedono a Teheran di "mettere fine a questo genere di metodi come a questo castigo iniquo e barbaro", invocando anche "il rispetto della dignità e della libertà di tutte le iraniane oppresse o minacciate". Fra i firmatari, il sociologo Edgar Morin, gli storici Elisabeth Roudinesco e Max Gallo, lo scrittore Marek Halter, i filosofi Daniel Schiffer e Michel Serres.
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martedì 24 agosto 2010

Voto anticipato : 300 milioni ai partiti




In caso di scioglimento anticipato delle Camere, le segreterie dei partiti continuano a ricevere i rimborsi elettorali della XV legislatura, quella attuale

Il voto anticipato regala 300 milioni alle casse dei partiti

La legge destina 50 milioni all'anno ai partiti per ciascuna delle due Camere
Una norma del febbraio 2006 non interrompe l'erogazione anche se finisce il mandato

ROMA - Sciogliere adesso le Camere e andare a votare significa regalare 300 milioni di euro ai partiti, cento milioni all'anno per i prossimi tre anni, fino al 2011, scadenza naturale della XV legislatura. Viene in mente "Lascia o raddoppia?", il gioco a quiz con cui gli italiani cominciarono a vincere soldi in tv nella seconda metà degli anni Cinquanta. Solo che stavolta i beneficiari sono i partiti e chi ci rimette è lo Stato, cioè i cittadini.

Il gioco, se così si può chiamare, è molto semplice: ogni anno i partiti si dividono, a seconda dei voti che hanno ricevuto, una torta di circa 50 milioni di euro che vanno sotto la voce rimborsi elettorali. Cinquanta milioni per ognuno dei cinque anni di legislatura. Una volta, secondo logica, se la legislatura finiva il rimborso veniva interrotto per lasciare il posto a quello nuovo che comunque sarebbe arrivato.

Invece nel febbraio 2006, ancora in sella il governo Berlusconi, interviene una piccolissima modifica che garantisce "l'erogazione del rimborso elettorale anche in caso di scioglimento delle Camere". Significa che i partiti rappresentati nel prossimo Parlamento - molti dei quali assolutamente identici - prenderanno due volte il rimborso elettorale. Succederà sicuramente a Forza Italia e al Pd che sommerà i rimborsi "vecchi" dell'Ulivo e quelli "nuovi" del Partito democratico. Forse anche in questo banalissimo calcolo di cassa sta una delle ragioni della volontà di tornare al voto. Votare conviene.

Da 800 lire a 1 euro. La "guida" in questo viaggio nello spreco è Silvana Mura, deputata dell'Italia dei Valori e tesoriera del partito che per ben due volte, nella Finanziaria votata nel dicembre 2006 e in quella approvata a dicembre scorso, ha provato a cambiare le cose. Rimbalzando nel muro di gomma degli stessi partiti. Mani pulite e il successivo referendum avevano abolito nel 1993 il finanziamento pubblico ai partiti che nel 1999 rispunta fuori sotto la dizione "rimborso elettorale". Fin qui niente di strano. Anzi, civilmente corretto visto che i partiti sono al servizio dei cittadini ed è giusto che abbiamo un rimborso per le loro spese.OAS_RICH('Middle');

Il rimborso viene quantificato in 800 lire per ogni voto ogni anno. L'arrivo dell'euro fa raddoppiare i prezzi di frutta e pane ma anche il rimborso ai partiti che nel 2002 - governo Berlusconi - da 800 lire passa a 1 euro tondo per ogni voto. Nessuno dice niente. I rimborsi scattano per le elezioni europee, Camera e Senato e regionali. Con i ritmi elettorali che ci sono in Italia praticamente è un rimborso continuo che puntuale compare ogni anno nei bilanci di Camera e Senato.

Doppio scandalo. Gli "scandali", così li chiama l'onorevole Mura, in questa pratica tutta italiana sono almeno due. Il primo: "Il fondo dei rimborsi elettorali è una cifra fissa calcolata non in base a chi va effettivamente alle urne ma sul numero degli aventi diritto". Uno spreco nello spreco che vale qualche milione di euro. Il fondo annuale, tanto per la Camera tanto per il Senato, è pari a 49 milioni e 964 mila 574 euro. Ma il numero delle persone che vota non corrisponde mai agli aventi diritto e il numero degli aventi diritto per il Senato è inferiore a quello della Camera. Qualche esempio. Nel 2006 per la Camera ha votato l'83% degli aventi diritto. Se il rimborso fosse reale, cioè solo per chi ha votato, sarebbe stato pari a 41 milioni e 789 mila euro, "un risparmio", secondo i conti di Silvana Mura, di "otto milioni di euro all'anno". Per il Senato ha votato il 76% degli aventi diritto, pari a 38 milioni di euro circa con un risparmio di 11 milioni all'anno.

Il secondo scandalo. E' quello che scatta nel caso di scioglimento anticipato delle camere. Fino al 2006 il rimborso veniva interrotto se si andava al voto. Più che logico visto che con la nuova legislatura scatta quello nuovo. Nel febbraio 2006, secondo governo Berlusconi, la norma viene così modificata: "In caso di scioglimento della Camere l'erogazione del rimborso è comunque effettuata". Una riga che vale qualche centinaia di milioni di euro. "Abbiamo provato - spiega Silvana Mura - a cambiare e a sostituire la parola "effettuata" con "interrotta" ma non ci siamo riusciti". E' impossibile perché il credito è vincolato. Come se uno accendesse un mutuo su quel rimborso: poi non puoi più rinunciarci perché vincolato.

Così vanno le cose. "Una generosa liquidazione dovuta a una norma scandalosa che incentiva la fine anticipata della legislatura" dice Silvana Mura. Che accusa: "I partiti hanno trovato il modo di guadagnare anche sulle crisi di governo".

Il resoconto della Gazzetta Ufficiale documenta che Forza Italia prenderà comunque 12 milioni l'anno fino al 2011 oltre a quelli che incasserà per il rimborso della XVI legislatura, la prossima. L'Ulivo ne prenderà circa 16 a cui potrà aggiungere i milioni che riceverà il neonato Pd. Chissà se nelle consultazioni si è parlato di questo inedito "Lascia o raddoppia?".

di CLAUDIA FUSANI (Repubblica)

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lunedì 23 agosto 2010

Bossi: Silvio era il “camorrista mafioso di Arcore”

Quando per Bossi 

 Silvio era il “camorrista mafioso di Arcore”.


Strano il rapporto tra Umberto Bossi e la lotta alla mafia:oggi si fa con Berlusconi e Dell’Utri, ieri si faceva contro di loro. Oggi si votano senza defezioni (e senza fiatare) scudi giudiziari e leggi ad personam; si tace quando un assassino come Vittorio Mangano viene definito un eroe; si minimizzano le condanne per concorso esterno in associazione mafiosa; si sminuisce la riapertura delle inchieste sul periodo stragista. Ieri, tutto al contrario, si parlava una lingua che oggi definiremmo “giustizialista”, “forcaiola” e che tanto ricorda – ma in una versione ben più colorita – quella degli odiati Di Pietro e Travaglio.

Si prendano ad esempio le vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto il Premier. Oggi Bossi e i suoi si comportano da alleati fedeli, e tacciono o acconsentono. Ma non è sempre stato così. Anzi. Scorriamo l’archivio dell’Ansa: “Chi vota per Berlusconi e Fini deve sapere che vota per la mafia” (6 marzo 1996). “Non c’è il minimo dubbio: la Fininvest è controllata dalla mafia, Berlusconi è nel giro della mafia e le televisioni non sono sue, lui è il fiduciario” (4 dicembre 1996). Berlusconi è il “camorrista mafioso di Arcore” e “la Fininvest ha qualcosa come 38 holding, di cui 16 occulte. Furono fatte nascere da una banca di Palermo a Milano, la banca Rasini, la banca di Cosa Nostra a Milano. E hanno preso un meneghino per rappresentare i loro interessi” (25 ottobre 1998). Il Cavaliere “non merita risposte dignitose”, tuona Bossi in un comizio a Udine, e rincara: “io non parlo dei mafiosi, di chi ha fatto i soldi con la mafia”. E ancora: “ricordo che molti ragazzi del Nord sono sotto terra, morti di droga. Morti cioè con i soldi che poi sono arrivati a lui per le sue televisioni” (13 novembre 1998). Insomma, “fino a quando non s’è fatta chiarezza su che cosa è Forza Italia e su che cosa è la Fininvest, sulle finanziarie e su come pigliavano i quattrini, non ci potrà essere alcun dialogo con il Polo” (5 ottobre 1998). Berlusconi da par suo aveva già fatto sapere che non si sarebbe mai più seduto allo stesso tavolo con Bossi. Bugia.

Sono gli anni in cui il quotidiano La Padania pubblica una serie di domande precise circa l’origine dei capitali del Cavaliere e i suoi presunti rapporti con la mafia. Calderoli, diverso tempo prima di stendere e definire l’attuale legge elettorale una “porcata” “fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota” (15 marzo 2006) – alla faccia della “sovranità popolare” -, si chiede se fare causa a Mediaset e se, nell’evenienza, “ricoprire i muri della Lombardia” con la prima pagina dove ci si interrogava “se Berlusconi è un mafioso o no” con il ricavato (28 agosto 1998). Per Bossi, in ogni caso, quelle domande non sono abbastanza: l’allora direttore Marchi avrebbe dovuto andare più a fondo “con quelle carogne legate a Bettino Craxi” (19 agosto 1998).

Non mancano i “dubbi” su “un personaggio come Dell’Utri, inquisito per mafia” (1 ottobre 1999). La condanna in secondo grado deve averglieli sciolti, dato che il senatùr ha dichiarato in proposito: “Un conto è provare che uno è mafioso; l’appoggio esterno non dimostra niente, non dimostra che uno è mafioso” (29 giugno 2010). Insomma, Dell’Utri è innocente, e quelle di Spatuzza “sono balle, sono storie” (5 dicembre 2009). Anche la prescrizione a Mills deve essere sembrata sufficiente a Bossi quanto ai dubbi sulle “holding” occulte del gruppo Fininvest, dato che è da un pezzo che non ne parla. Si vede che è troppo impegnato a pensare ai fucili che il popolo padano è pronto, un giorno sì e l’altro anche, a imbracciare contro le stanze del potere di “Roma ladrona” – dove peraltro lui stesso lavora. Oppure è solamente la concezione leghista della coerenza: si giura sulla Costituzione e allo stesso tempo si dichiara l’indipendenza della Padania, come da Statuto e come proclamato a Venezia: “affermiamo il nostro diritto e la nostra volontà di assumere i pieni poteri di uno Stato”, “la Padania è una Repubblica indipendente e sovrana” (15 settembre 1996). Tutto, pur di realizzare un federalismo promesso ormai da vent’anni. Del resto quando ci fossero domande di cui si ignora la risposta – ad esempio: è ancora vero che “governare vicino al partito del mafioso è pesante” (17 giugno 1998)? – basta alzare il dito medio.

leggi anche tutto sul 
KAMASUTRA
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I TRE LAVORATORI DELLA FIAT DI MELFI REINTEGRATI



Giovanni Barozzino Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, sono i tre operai licenziati dalla fiat di Melfi ma il giudice ha annullato il provvedimento ritenendolo "antisindacale" e ha ordinato il loro immediato reintegro nelle rispettive mansioni professionali.

"Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio? Io la mattina mi voglio alzare e voglio sentirmi un uomo con la mia dignità, i miei diritti e i miei doveri".

"Ci presenteremo al nostro posto di lavoro",

CHIEDIAMO A TUTTI I PARLAMENTARI ,CHE SI SENTONO E/O DICHIARANO DI STARE ACCANTO AI LAVORATORI E A RAPPRESENTARE I LORO DIRITTI, DI ACCOMPAGNARE I TRE LAVORATORI AI CANCELLI DELLA FIAT DI MELFI, DANDO UN SEGNO INEQUIVOCABILE.



Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.



LA NOSTRA SOCIETA' E' FONDATA SUL LAVORO E NON SULLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO, TANTO MENO DELLA SUA UMILIAZIONE.


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sabato 21 agosto 2010

Un regalo alla camorra il sottosuolo di Napoli




DENUNCIA. Massimo Sacco, capo della squadra Antirapina della questura, boccia la possibile vendita del sottosuolo di Napoli: «Troppo pericoloso, causerà problemi di ordine pubblico e controllo del territorio».

«Non riusciamo a controllare il suolo di Napoli, figuriamoci il sottosuolo privatizzato. Sarebbe troppo pericoloso. Un problema di ordine pubblico e controllo del territorio». Non usa mezzi termini Massimo Sacco, dirigente della sezione Antirapina e vice questore di Napoli. Il funzionario non ci può credere che il governo con il federalismo demaniale possa mettere in vendita il sottosuolo di Napoli. «Non si contano le volte che siamo dovuti scendere nella città sotterranea per inseguire i ladri».

Del resto quella che i giornali chiamano “Banda del buco”, in realtà è una tecnica usata a Napoli da molti gruppi di malviventi. La loro specialità è sbucare dal sottosuolo per rapinare banche e gioiellerie della città. Spesso usano basi sotterranee e ogni tanto ne compare una nuova che. «Dal sottosuolo arrivano sotto la stanza da rapinare, mettono un grande cric come quelli dei camion, tagliano il pavimento e quando devono fare il colpo lo rimuovono, così da entrare, rubare e scappare dalle gallerie», spiega Sacco.

Il primo colpo con la tecnica del buco, risale addirittura al 1989, quando i ladri rubarono anche il pallone d’oro di Maradona. Un giorno una guardia giurata di una banca trovò un rapinatore appena spuntato dal pavimento del bagno, gli sparò un colpo ferendolo. «Passammo 12 ore sottoterra a inseguire nei diversi tunnel le tracce di sangue lasciate dall’uomo - ricorda il funzionario dell’Antirapina - fino a quando non sbucammo nel retro di un negozio di alimentari della Sanità, in un quartiere distante vari isolati dal luogo del colpo».

Infatti negli anni Ottanta un gruppo di speleologi ha dimostrato che attraverso le gallerie sotterranee è possibile attraversare in lungo la città: da Posillipo fino a Ponticelli. Ma la prima vera mappatura delle immense cavità sotterranee di cui è ricca Napoli, iniziò nel 1968. A esplorarle, una giovane squadra di speleologi, guidata da Clemente Esposito, pagata 100 lire a metro quadro e 200 per ogni pozzo. Registrarono più di 100mila metri cubi di cunicoli e gallerie. In pratica un’altra città sotterranea.

Ma le viscere di Napoli nascondono molto di più rispetto a quanto scoperto finora, visto che secondo le più recenti stime è conosciuta meno della metà del sottosuolo partenopeo. Per non parlare di quello della provincia, quasi del tutto ancora ignoto. La squadra di Sacco nei pressi del cimitero delle Fontanelle, realizzato nel 1656 sotto il quartiere Sanità, dove tuttora giacciono più di 4.000 teschi appartenenti alle vittime delle epidemie di peste e colera che nei secoli hanno colpito la città, ha trovato addirittura un poligono di tiro creato dalla camorra, con tanto di parcheggio sotterraneo.

«Era una galleria lunga e stretta piena di bersagli, armi da guerra, come kalashnikov e mitragliatrici Uzi, ma custodiva anche una montagna di cocaina». I poliziotti dell’Antirapina e dell’Anticamorra sanno da tempo che parte dei tunnel sotterranei, soprattutto quelli non presenti sulle mappe del Comune, vengono da tempo usati dai camorristi per riunirsi, nascondersi, spostarsi e custodire al riparo da occhi indiscreti, armi e soldi. Altri sono pieni di rifiuti e ogni tanto il biogas della loro fermentazione esplode, si aprono delle voragini e il sottosuolo inghiotte i palazzi. «Una volta in una stanza sotterranea accesa la torcia mi resi conto che a terra c’era un tappeto di oro, diamanti e gioielli».

Ma le cavità vengono usate dai latitanti anche per nascondersi. Già nel 1999 gli agenti riuscirono a catturare il boss di Forcella, Carmine Giuliano, solo grazie alla scoperta del suo nascondiglio sotterraneo. Perché quando l’aria si faceva pesante, ‘o Lione dalla sua casa scendeva nelle viscere della terra per sfuggire alle retate. Stessa cosa per il capoclan della Sanità, Raffaele Stolder.

Nel 1991 gli uomini dell’Antidroga vuotarono come un calzino il suo appartamento ma lui si era come volatilizzato. Poco dopo gli agenti trovarono «una finta parete che si apriva con un telecomando e nascondeva una scala che portava in una galleria sotterranea», conclude il vice questore. Cavità che ora potrebbero essere vendute a partire da un euro.

di : Alessandro De Pascale


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