Le Carte Parlanti

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Mundimago

lunedì 31 maggio 2010

GAZA , ASSALTO IN MARE

Sono 19 le vittime dell'incursione israeliana a bordo di una delle navi della flotta umanitaria diretta nella Striscia. Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, Abu Mazen, ha dichiarato tre giorni di lutto nei Territori e nei campi di profughi palestinesi nei paesi arabi vicini in memoria delle vittime dell'assalto israeliano

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venerdì 28 maggio 2010

Vie d'uscita dalla crisi a Terra futura

Vie d'uscita dalla crisi a Terra futura


La Fortezza da Basso di Firenze si trasforma in un grande laboratorio di economia antiliberista per la settima edizione di Terra futura, dal 28 al 30 maggio

Le comunità sostenibili: questo il tema di Terra futura [Tf] 2010, la mostra-convegno internazionale sulla buone ospitata a Firenze dal 28 al 30 maggio. «A Firenze vogliamo ribadire come resti fondamentale il ruolo del cittadino responsabile – ha detto Ugo Biggeri, appena eletto presidente di Banca etica [il principale promotore di Tf], durante la presentazione di Tf a Roma -e della società civile organizzata nel promuovere nuova cultura e nel dar vita ad esperienze che generano sui territori percorsi virtuosi e possono spingere la politica a occuparsi di tante questioni spesso gravemente trascurate».

Terra futura, che sette anni fa quando è nata [dopo lo straordinario Forum sociale europeo di Firenze] era l’unico evento di questo tipo, è promossa e organizzata da Fondazione culturale del gruppo Banca etica, insieme a Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’economia sociale, ma anche Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete e Legambiente [e numerosi media partner tra cui Carta].
Pace, diritti umani, giustizia sociale, sostenibilità: ancora una volta Terra Futura chiede una svolta e impegni concreti su questi temi.

Il programma di quest’anno prevede seicento aree espositive [con circa cinquemila enti rappresentati, ci sarà anche lo stand di Carta], oltre duecento appuntamenti culturali che vedranno l’intervento di ottocento relatori, quaranta presentazioni di libri, duecentocinquanta animazioni e laboratori. Tra gli altri, ci saranno Susan George, Euclides Mance, Vanda Shiva, Alex Zanotelli e Wolfgang Sachs [il programma culturale completo è on line].

Tra le numerose iniziative in programma segnaliamo: il convegno Ricostruire economie sane e responsabi dal basso [venerdì ore 10, con Susan George, Euclides André Mance, Ugo Biggeri e altri], l’assemblea annuale dell’associazione Comuni virtuosi [venerdì, ore 10, sala 13 Palazzina Lorenese], la presentazione del Manifesto sul futuro deu sistemi di conoscenza [a cura di Arsia Toscana, con Vandana Shiva, venerd’ ore 16, sala della Polveriera], la Carovana toscana dell’acqua per la raccolta firme sul referendum [venerd’, ore 16], I Gas si presentano [sabato ore 15, a cura dei Gas fiorentini].
E ancora, la domenica: [ore 11] Diritti globali e controllo delle filiere. La Cgil incontra i Gas [a cura della Cgil nazionale];

Uno degli eventi più attesi alla settima edizione di Terra futura, è la Borsa delle imprese responsabili. Uno spazio dove associazioni, imprese ed enti locali di incontrano per costruire inedite alleanze sui temi sociali e ambientali. Alla Fortezza da Basso che ospita anche quest’anno Tf ci sarà anche lo stand di Carta.

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giovedì 27 maggio 2010

Dario Fo: Il Nobel a Saviano

Dario Fo: “Il Nobel a Saviano”



- di Oliviero Beha -

“Il Nobel a Saviano? Non dovrei dirlo, ma a questo punto bisogna mettere giù le carte: ho scritto una lettera piuttosto vasta, dando indicazioni e ho mandato pure i suoi libri a Stoccolma”. Si conclude così una lunga conversazione con Dario Fo nella sua casa milanese di Porta Romana, che ho registrato per l’ultima puntata della trasmissione “Brontolo”,in onda stamani su Rai 3 alle 11,20. Il tema era “Nobel o Ignobel? Il mistero buffo di Dario Fo”, e tutto quello che significa e ruota attorno al più famoso premio del mondo. Ecco, a stralci, come siamo arrivati a Saviano partendo da Dario, l’ultimo italiano a ricevere quello per la letteratura nel 1997, dopo Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo e Montale.Intanto, la prima volta che hai sentito parlare del premio Nobel quando è stato? Da ragazzino, da giovane…Proprio da ragazzino: soprattutto nel dopoguerra; perché avevo un’età che mi permetteva d’intendere e soprattutto di valutare valori eccetera.  Ma solo dopo averlo “guadagnato”, dopo che me lo hanno “affidato” diciamo così, ho capito l’importanza del Nobel. Perché prima di tutto sono stato in Svezia e ho potuto parlare con grandi personaggi, tutti quelli che avevano avuto il Nobel prima di me…Ma avevano già pensato di offrirmelo.

Un po’ di tempo prima?Sì, una decina di anni prima.  Però l’hanno fatto saltare perchè qualcuno ha fatto una mossa molto …furba.  Cioè ha fatto girare la voce che io ero uno dei concorrenti.  E questo non si deve pubblicare. Per evitare che ci siano problematiche, contenziosi…mi hanno tolto di mezzo…c’è stato qualcuno che ha parlato dal di dentro: ha spifferato…

Dal di dentro di loro…o qualcuno di italiano…
Di loro, di loro…

E’ stata una fregatura patriottica, che veniva dall’Italia, o una fregatura esterna?
Non si sa, non si sa come sia nata. C’è stato un circolo culturale svedese, che ha pubblicazioni, eccetera, che ha tirato fuori questa “soffiata”.

Di conseguenza la “soffiata” è stata determinante per scansare.  Ma torniamo ai tuoi predecessori: quale ti è più vicino ? Pirandello presumo, per certi versi, oppure no?
No, meno vicino Pirandello.Invece, Quasimodo: io lo amavo molto, anche perché mi ha fatto conoscere i greci; i grandi poeti greci e anche il teatro greco perché ho parlato con lui. Eravamo legati da un pensiero, da un modo di vedere, da una ideologia: termine che adesso è proibito…

Per carità, non si può dire. Oggi come sai, c’è una ideologia determinante che è quella del non avere ideologie:  non sanno che è un’ideologia….Ma a proposito del Premio, al di là del fare uscire o non fare uscire il nome, c’è tutta una trama dietro, dei risvolti, dei misteri dietro la consegna di questo premio,no? Che cosa succede esattamente?
Una cosa che ho scoperto dopo: quando sono andato a ricevere il premio, nei giorni ancora prima che ci fosse il rito, ho incontrato i maestri, i dottori li chiamano…coloro che hanno deciso di dare il premio, che hanno deciso di offrire il premio a me.  Sono parecchi, io ne ho contati quindici, importantissimi;  legati a tutte le categorie che sorreggono e sostengono il discorso della letteratura, del teatro dell’espressione e via dicendo.  E la cosa che mi ha sorpreso, è il lavoro che fanno sulla scelta. Io sono entrato in una stanza dove c’erano alcuni concorrenti, alcuni che poi sono stati premiati dopo.  Ho visto già i libri…perché lo preparano anche vent’anni prima e poi ho scoperto che c’erano anche dei testi, miei, che io avevo perduto, e loro li avevano….Volevo dire, che nel premio Nobel, oltre che la scrittura o la messa in scena in questo caso, è valutata e  approfondita la tua vita.Cioè che cosa hai fatto,  come ti sei comportato, che cosa hai usato della tua vita nella società e nella collettività.

E’ per questo che  Borges non l’ha mai vinto: che idea ti sei fatto tu?
A me piaceva molto. E’ stato uno dei nostri maestri.

Mi è venuto in mente per il tuo discorso sulla vita.
Io sono stato in Argentina e ho visto quello che era lui, ancora vivo.  Noi siamo stati aggrediti dai fascisti a Buenos Aires. Hanno distrutto completamente la facciata del teatro dove eravamo. …Stiamo parlando di trenta, trentacinque anni fa.  Lui che era responsabile culturale dell’Argentina non è venuto neanche ad affacciarsi.  Ma come, succede una cosa di questo genere…non fai una telefonata…e allora questa assenza dalla vita reale, credo che abbia… non ho mai parlato con loro…

Quindi non l’opera che è straordinaria, ma la persona forse…
Cioè  la persona che ha un suo mondo estraneo a quello reale, e che…

 …non rientra nelle logiche di assegnazione complessive del premio, se ho capito bene.
Certo, sì, Borges non si è stupito neanche né ha preso posizione quando i generali e i colonnelli hanno preso con violenza il potere…

E poi arriviamo a Berlusconi, che nel 1997 disse “i giullari prendono il premio Nobel”… Ma  la cosa che fa paura è di nuovo l’ignoranza. Un’ignoranza abissale.  Io non so dove abbia studiato la letteratura, se l’ha studiata, perché è chiaro che i più grandi giullari, che so’:  Bonvesin della Riva, Bescapè, erano delle persone di una cultura straordinaria…se pensi alla struttura per mettere in piedi “il dolce stil novo”,vedi che è venuto dallo studio di tutti i più grandi poeti italiani di allora presso i giullari.  Credere che i giullari come i comici siano…

 …siano stipati nel cassetto dei cialtroni……erano laureati, notai, gente che sapeva leggere, che conosceva il greco, gli unici.  Gente che sorpassavano  i sacerdoti, gli scienziati della chiesa…  Certo, essere convinti che “giullare” sia il termine dispregiativo e soprattutto che questi siano dei cialtroni, barzellettieri da poco conto, vuol dire non conoscere la letteratura.Dante Alighieri si è raccolto tutto quello che avevano scritto i giullari o era stato riscritto da altri per strutturare l’impianto di un nuovo modo di esprimersi.E di scrivere.

Quindi quella “crescita dell’umanità” in senso lato, di cui parla chi ti ha consegnato il premio, è intesa anche riferita alla qualità della persona.
Il suo essere nella società effettiva.

Con gli “effetti” che ne riceve… Come si sa invece per esempio Pasternak lo aveva vinto,lo avrebbe preso volentieri.E glielo hanno impedito.
Certo, è stata…però è importante: la Russia, l’impero sovietico aveva capito l’importanza del Nobel. Aveva subito sentito il bisogno di bloccare, quasi di cancellare quel Nobel.  Era un’onta per quello che era il regime.

Era una penetrazione mediatica forte.
Da noi invece si è cercato di buttarla  in “sghignazzo”, di sfottere… 

Non c’è dubbio, però è una politica anche quella di svilire un po’ tutto. No?
Ecco, questo è anche il taglio di questa forma culturale che viene avanti. Per cui la cultura viene cancellata completamente.  Bondi che, veramente Dio l’abbia in gloria  lo faccia volare,  sempre in cielo come un “bondi che vola”…

…non ce lo tolga, ma lo faccia volare…A un certo punto è proprio la dimostrazione del  vuoto culturale, del disinteresse:
è, come si ripete, la cultura a essere qualcosa di superfluo, di cui si può anche fare a meno.

E’ un impiccio e un rischio. E’sempre il “non disturbate il manovratore” inteso in senso lato.
Bisogna ammettere: la destra italiana si è resa conto da tempo di non avere gli uomini adatti a chiamarli “intellettuali”.

Quindi non avendo egemonie  culturali gramsciane da fornire…Non ne abbiamo: tutti quelli che stanno dall’altra parte li cacciamo.

E’ una logica aziendale mica da poco.
Cancellare un prodotto perché non ne abbiamo.

Al volo una risposta, prima di finire: oggi un premio Nobel a Saviano, per quello che rappresenta, sarebbe sproporzionato, nonostante tutto, oppure no?
Non dovrei dirlo, ma a questo punto bisogna mettere giù le carte, ho scritto una lettera piuttosto vasta, dando indicazioni e ho mandato pure i suoi libri a Stoccolma…

Ma non diciamolo…Grazie, Dario.


http://www.articolo21.org/1212/notizia/dario-fo--il-nobel-a-saviano.html

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martedì 25 maggio 2010

Banche sempre più armate

Banche sempre più armate
di : Luca Kocci


Sono cresciute del 61 per cento in un anno le esportazioni di armamenti italiani, coperte dai grandi gruppi bancari. Li passa in rassegna l'articolo che pubblichiamo, tratto dal sito di Adista.

E’ salito al vertice della delle “banche armate” – ovvero gli istituti di credito che forniscono servizi finanziari alle industrie armiere ottenendo notevoli compensi di intermediazione – il gruppo UBI Banca [Unione Banche Italiane], nel cui Consiglio di Sorveglianza siede, non a caso, Pietro Gussalli Beretta, vicepresidente di Beretta Holding Spa, la principale azienda italiana, e una delle prime al mondo, produttrice di armi leggere: con 1 miliardo e 231 milioni di euro UBI Banca è il gruppo che – soprattutto con il Banco di Brescia e per una piccola quota con il Banco di San Giorgio – nel corso dell’anno 2009 ha movimentato più soldi per conto delle industrie italiane che hanno esportato armi all’estero. Nel 2008 l’impegno di Ubi Banca era inferiore ai 250 milioni.
“La nostra policy – spiega ad Adista Damiano Carrara, responsabile Corporate Social Responsibility di UBI Banca – non è volta ad azzerare l’impegno del gruppo nei confronti del settore che anzi consideriamo importante per la difesa dell’ordine pubblico interno e internazionale secondo i principi della Costituzione italiana, ma a regolare gli interventi secondo criteri di valutazione delle singole operazioni oggettivi e trasparenti, condivisi con varie organizzazioni sociali attente a questi temi”. “Tutte le transazioni sono state effettuate nel pieno e rigoroso rispetto di tale codice di comportamento: il 97 per cento degli importi autorizzati riguarda Paesi dell’Unione Europea, come si può leggere anche nel Bilancio sociale consultabile sul sito, e ha come oggetto la fornitura di componenti, ricambi e manutenzioni per aeromobili e di aeromobili non armati. Inoltre sono state declinate operazioni per un importo complessivo di 7,1 milioni di euro, in quanto dirette verso Paesi non ammessi dalla policy”.
Principi e informazioni che tuttavia non possono più essere verificate, come spiega Giorgio Beretta, analista della Rete Italiana Disarmo e per anni animatore della Campagna di pressione alle “banche armate” promossa dalle riviste Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace: “Da quando, tre anni fa, il Governo ha eliminato dalla Relazione sull’import-export di armi il lungo e dettagliato elenco delle singole operazioni effettuate dagli istituti di credito, è impossibile giudicare l’operato delle singole banche. Nessuno mette in dubbio il resoconto delle banche, nel caso di UBI anche abbastanza dettagliato, ma senza quell’elenco le loro affermazioni mancano del riscontro ufficiale che solo la Relazione può fornire”.
La Relazione del governo – pubblicata circa due mesi dopo la divulgazione di un più sintetico Rapporto che ha evidenziato il grande aumento [più 61 per cento] delle esportazioni di armi italiane nel mondo soprattutto verso Paesi extra Unione Europea e Nato – segnala che nel 2009 sono state autorizzate 1.628 transazioni bancarie per un totale di oltre 4 miliardi di euro, a cui va aggiunto poco più di 1miliardo e 700 milioni per “programmi intergovernativi” di riarmo [cioè i grandi sistemi d’arma costruiti in collaborazione con altri Paesi, come ad esempio il cacciabombardiere Joint Strike Fighter per cui l’Italia spenderà almeno 13 miliardi nei prossimi anni].
Dopo UBI Banca, sempre per quanto riguarda il capitolo esportazioni, la seconda “banca armata” è la tedesca Deutsche Bank con 913 milioni di euro, seguita dal gruppo italo-francese BNL-BNP Paribas che ha movimentato 904 milioni di euro, e che è anche la banca convenzionata con l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile.
“Il recente crescente attivismo della banca tedesca nel settore – nel 2004 realizzava operazioni per soli 700mila euro – e soprattutto la totale mancanza di direttive pubbliche per quanto riguarda il settore dell’industria militare e dell’export armiero fanno oggi della Deutsche Bank uno dei principali attori in questo particolare business”, commenta Beretta. “Vien da chiedersi cosa intenda quando sul proprio sito la banca afferma che ‘per Deutsche Bank la Responsabilità Sociale d’Impresa non è un’opportunità per fare beneficenza, ma un investimento nella società e nel proprio futuro’. Se l’investimento è fatto coi proventi dell’export militare, il futuro lo vedo… plumbeo”.
E per Beretta “stupisce anche il crescente volume d’affari nel settore da parte di BNP Paribas: dai poco più di 300 mila euro del 2002 si passa agli oltre 804 milioni di euro del 2009 autorizzati a Bnp Paribas Succursale Italia”, ovvero BNL. “Il Codice Etico della BNL – aggiunge Beretta – limiterebbe l’operatività della banca nell’export di armi ai soli Paesi della Nato e dell’Ue. Inoltre, stando al principio secondo cui il Gruppo Bnp Paribas adotterebbe nei vari Paesi lo ‘standard più elevato’ in materia di responsabilità sociale, tale limitazione dovrebbe applicarsi anche alla sua filiale italiana. Ma né nei bilanci sociali della BNL e ancor meno in quelli del BNP Paribas si rintraccia una cifra o un Paese verso cui le due banche hanno svolto operazioni di armi”.
Questi tre gruppi bancari, da soli, coprono i tre quarti del mercato finanziario relativo alle esportazioni. Seguono circa 20 banche, sia italiane che estere, con importi assai inferiori. Fra gli istituti italiani si notano il gruppo Intesa San Paolo con 186 milioni [a cui però andrebbero aggiunti anche i 47 milioni della Cassa di Risparmio di La Spezia, facente parte dello stesso gruppo] e Unicredit con 146 milioni. A seguire Cassa di Risparmio di Genova e Imperia [23 milioni], Banca Popolare Commercio e Industria [15 milioni], Banca Antonveneta [quasi 9 milioni] e poi Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banca Valsabbina, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Credicoop di Cernusco sul Naviglio e Banca Popolare di Milano con importi intorno ai 5 milioni di euro ciascuno.
Se dalle esportazioni si passa a considerare i “programmi intergovernativi”, i primi due posti sono saldamente occupati da Intesa San Paolo [806 milioni] e Unicredit [702 milioni], leader incontrastati di questo settore – nonché banche di riferimento per le attività della Conferenza Episcopale Italiana e della Caritas Italiana [v. Adista n. 5/10] – che da anni fanno pubbliche e solenni dichiarazioni di disimpegno dal sostegno alle industrie armiere e puntualmente si ritrovano in vetta alla classifica.
“Nel caso delle esportazioni definitive, dove comunque si ha una diminuzione del 12 per cento rispetto allo scorso anno, si tratta di transazioni relative a operazioni avviate prima dell’entrata in vigore del nostro codice di comportamento, esteso progressivamente alle banche entrate negli anni nel Gruppo Intesa Sanpaolo” spiega ad Adista Valter Serrentino, responsabile dell’Unità Corporate Social Responsibility di Intesa San Paolo. “Inoltre aggiungo che la principale operazione supportata, che rappresenta oltre il 60 per cento dell’importo totale delle autorizzazioni, è relativa alla fornitura di 3 navi cacciamine alla Marina Militare finlandese. Le operazioni relative ai programmi intergovernativi invece si riferiscono ad accordi pluriennali, anch’essi stipulati prima dell’entrata in vigore del codice di comportamento, che manifesteranno i loro effetti nei nostri bilanci anche per i prossimi anni. Crediamo quindi di aver mantenuto coerentemente gli impegni che abbiamo preso nei confronti sia dei nostri clienti, sia della società civile”.
“Se non è ingiustificata la sottolineatura da parte degli istituti di credito che questi programmi intergovernativi per la loro specificità ineriscono la stessa politica di difesa dell’Italia – replica Beretta – ciò dovrebbe attivare la società civile in maniera ancor più decisa nel chiedere conto innanzitutto al Governo della sensatezza delle spese per questi sistemi militari che, oltre che incredibilmente dispendiosi, hanno anche una chiara propensione offensiva, come nel caso del programma per il Joint Strike Fighter”.
www.adistaonline.it

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La P2 e il ddl intercettazioni

La P2 e il ddl intercettazioni

- di Concita De Gregorio -



Qualche sera fa, in via Veneto, entrava Edward Luttwak all’hotel Flora, usciva Licio Gelli dall’Excelsior. Il Flora era il quartier generale tedesco negli anni di guerra. L’Excelsior, in anni più recenti, teatro di un’altra guerra, silenziosa e lunga. Una guerra di cospirazione. Le due auto blu si sono incrociate. Gelli, 91 anni compiuti ad aprile, scende a Roma molto più di rado. Non tutti i mercoledì come era solito fare. Ha qualche piccolo problema di salute, spiega uno dei tre intermediari che tra Pistoia, Arezzo e Montecatini occorre interpellare in sequenza per avere notizie dello «zio», così vogliono lo si chiami al telefono, mai nomi al telefono, si sa. Riceve a villa Wanda, si spinge a Roma «solo per questioni delicatissime e urgenti di massimo livello».

Quale possa essere stata la questione delicatissima e urgente di queste settimane, le cronache dominate dalla cricca di Anemone e dall’urgenza che il presidente del Consiglio avverte per una legge bavaglio che ammutolisca giornali e tg, si può chiedere, ma non è lecito sapere. «Che domanda impertinente». La stessa risposta che Licio Gelli mi dette sette anni fa, quando il 28 settembre andai a intervistarlo a villa Wanda. Sente ancora Silvio Berlusconi, lo vede? «Che domanda impertinente». In quella lunga conversazione mi disse cose che a ripensarci oggi - la privacy, il ddl sulle intercettazioni - conservano un loro interesse: il suo Piano di Rinascita democratica diceva che era necessario redigere «una nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità del cittadino, sul modello inglese». La privacy. Disse: «Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa». Ancora dal Piano di Rinascita della Loggia massonica P2, Silvio Berlusconi aveva la tessera numero 1816. «Qualora le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al governo di un uomo politico (o di una equipe) già in sintonia con lo spirito del club è chiaro che i tempi di procedimento riceverebbero una forte accelerazione». Le circostanze lo permettono. Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del Paese. Non solo alla guida suprema. È nei gangli vitali delle burocrazie, nelle segreterie felpate, nei ministeri, nelle anticamere. È un club, come lo definiva Gelli, i cui nomi fanno capolino di continuo tra le carte delle inchieste sulla corruzione, nomi a volte anonimi per il grande pubblico ma notissimi, invece, tra chi conta.

Martedì scorso a «Ballarò» Antonio Di Pietro, reduce da Firenze dove era stato sentito dai magistrati come testimone, ha risposto alla domanda «che cosa le hanno chiesto, lei cosa ha detto». «Non posso dire cosa ho detto, ma molte sarebbero le domande da farsi. Per esempio chiediamoci cosa ci fa Bisignani a palazzo Grazioli». Cosa ci fa? Ha domandato il conduttore, Floris. «Eh, cosa ci fa...». Luigi Bisignani, grande esperto della storia della P2.

Dunque i palazzi sono ancora questi, la storia non si capisce se non si riparte da lì. Per dirlo con le parole del Venerabile maestro: «Se le radici sono buone la pianta germoglia». Ha germogliato.

Brevi estratti dal Piano di Rinascita, che magari chi ha meno di trent’anni non lo ricorda o non l’ha letto mai. A proposito di stampa e tv. «Acquisire 2 o 3 giornalisti per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio o meglio a catena da non più di 3 o 4 elementi che conoscano l’ambiente». Le gratifiche economiche adeguate. «Dissolvere la Rai tv», «abolire il monopolio Rai». Fin qui, ha germogliato. Punto centrale: «Controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese». La prosa non è delle più felici ma il senso preciso: la pubblica opinione media, la massa dei cittadini. Nel vivo del paese: un controllo capillare. Addomesticare la pubblica opinione attraverso le tv. Procedere di seguito ad «alcuni ritocchi alla Costituzione».

Anche sui ritocchi ci siamo
Lavorare a dividere il sindacato, disarticolare la magistratura: questa è la parte più corposa del piano. Anche quella più meticolosamente perseguita. Sarebbe interessante fermarsi su altri dettagli: la «legislazione che subordini il diritto di residenza alla dimostrazione di possedere un posto di lavoro e un reddito sufficiente», per esempio, di cui Bossi è oggi paladino. Bossi, di cui Gelli dice: «Si è creato la sua fortezza con la Padania, ha portato molti parlamentari, è stato bravo. Ma aveva molti debiti...». La stampa, per finire. «Nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità del cittadino sul modello inglese (oggi diciamo privacy). Obbligo di pubblicare ogni anno bilanci e retribuzioni. Abolire tutte le provvidenze agevolative».

Creare un’Agenzia centrale che controlli le notizie locali. Acquisire alcuni settimanali da battaglia, settimanali popolari. Oggi diremmo rotocalchi. Quelli che vendono migliaia di copie e si trovano nelle sale d’attesa dal dentista, dal pediatra, dal barbiere: quelli che arrivano più lontano dei settimanali d’inchiesta, del resto - con le nuove leggi sulla privacy o dignità del cittadino che dir si voglia - destinati a scomparire. Di Berlusconi, quel giorno di sette anni fa, Gelli mi disse: «Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare. Di questo c’è bisogno in Italia: non di parole, di azioni». Della corruzione, delle tangenti, degli appalti e delle cricche: «In fondo Mani pulite è stata solo una faccenda di corna. Lei crede che la corruzione sia scomparsa? Non vede che è ovunque, peggio di prima, molto più di prima?».
(Foto Flickr)

http://www.unita.it/news/italia/99054/la_p_e_il_ddl_intercettazioni

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lunedì 24 maggio 2010

LA LEGGE SUL DIVIETO DI INTERCETTAZIONI

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Contro la legge bavaglio - Milena Gabanelli




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LA LEGGE SUL DIVIETO DI INTERCETTAZIONI È OMERTÀ DI STATO!

Manette, ostacoli e bavagli a chi vorrebbe indagare o informare sulle illegalità dei potenti, crimine e malaffare. Il modello è il piano di Rinascita della P2, che prevedeva Pubblici Ministeri e informazione sotto il controllo del Governo.

In democrazia la luce del sole è il miglior disinfettante

Il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche è ormai al capolinea. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per Mastro Birbante e i suoi arroganti balilla per aggredire l’insopportabile libertà di informazione e l’odiata magistratura. Se la Wanna Marchi della politica e i peli superflui del suo governo avessero voluto realmente tutelare la privacy sarebbe bastato prevedere che, d’intesa tra giudice e avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti e si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza.

LE NORME ABNORMI:

- SILENZIO STAMPA PRIMA DELL’UDIENZA PRELIMINARE: multe stratosferiche per gli editori anche di memorialistica storica e civile, e carcere fino a due mesi o ammenda da quattro a ventimila euro e sospensione dall’esercizio della professione per il cronista che pubblica integralmente o riassume atti d'indagine o intercettazioni prima dell'udienza preliminare, e dunque dopo molti mesi o anni dal momento in cui l’indagine è aperta (la strage di Ustica del 1970 approdò alla sua fase pubblica nel 2000!).
È un'inaccettabile limitazione al diritto/dovere di informazione e di cronaca garantito dall'articolo 21 della Costituzione, contraria all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Si vuole impedire ai cittadini di disporre di informazioni che consentano loro di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva, trasformandoli in opinione pubblica impotente e ignara dei fatti, perché il potere non vuole rendere conto all’opinione pubblica di ciò che fa.

- EMENDAMENTO "D'ADDARIO" voluto dal massone puttaniere, proibisce le registrazioni e le riprese effettuate senza il consenso dell'interessato punendo con carcere da 6 mesi a 4 anni i trasgressori, con l'eccezione – grazie ad un emendamento dell'opposizione - dei professionisti dell'informazione.

- INTERCETTAZIONI LIMITATE NEL TEMPO E SOLO CON GRAVI INDIZI DI REATO: nonostante in Italia non ci siano milioni di cittadini spiati, ma solo 10-20 mila intercettati, lo 0,2% della popolazione, si limiteranno drasticamente le intercettazioni per i reati comuni, e ad autorizzare il Pubblico Ministero dovrà essere addirittura il Tribunale, creando insuperabili problemi organizzativi. Per avere il suo ok, come ha ribadito il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingoia, ci vorrà la stessa prova che ci vuole per condannare un imputato, in quanto nella legge si cita l’articolo 192 del codice di procedura penale che serve per valutare la colpevolezza a carico dell’imputato, ed equivale a dire che non saranno sufficienti i “gravi indizi di reato”, ma ci vorranno quelli “di colpevolezza”. Un termine di durata massima delle intercettazioni di 75 giorni, poi, e' assolutamente irragionevole e rischia di rendere del tutto inutilizzabile lo strumento per combattere omicidi, pedofilia, stupri ecc. L'attività criminosa non rispetta gli stretti margini temporali fissati dalla legge per lo svolgimento delle intercettazioni! La possibilità di proroga di soli ulteriori 15 giorni che si vorrebbe introdurre non modifica in alcun modo l'irrazionalità della limitazione temporale prevista. Falso pure che l’Italia spenda troppo per intercettare: A Milano sono stati spesi 8 ml di euro per le indagini sui “Furbetti del quartierino”, Ricucci, Fazioe ecc. Ma grazie a quegli 8 ml di euro la Procura ha già recuperato grazie ai patteggiamenti 380 ml di euro. Una cifra che basta da sola a coprire per 2 anni le spese totali per le intercettazioni telefoniche. Oppure basterebbe fare come Germania e Francia che obbligano le compagnie telefoniche a fornire il servizio gratis, facendo rientrare il tutto in una sorta di ulteriore prezzo (o condizione) per il rilascio della concessione.


- PUNITI I MAGISTRATI CHE DICHIARANO IN MERITO AL PROCESSO: Così ogni mafioso o estorsore potrà liberarsi del Pubblico Ministero scomodo denunciando il PM perché ha violato il segreto; magari non è vero ma il fatto stesso che venga indagato sulla base della denuncia farà sì che il Procuratore debba togliergli l'inchiesta.

- DIVIETO DI DISPORRE NUOVI ASCOLTI SULLA BASE DEI CONTENUTI DI INTERCETTAZIONI LECITAMENTE ACQUISITE: se nel corso di una conversazione intercettata in un'indagine per traffico di stupefacenti l'interlocutore riferisce dell'imminente programmazione di un omicidio, sarebbe così impossibile disporre nuove intercettazioni per impedire l'omicidio e individuarne i responsabili. E se bisogna intercettare un telefono pubblico di un bar perché si sa che è attraverso quel telefono che gli spacciatori di droga si scambiano i luoghi dove consegnare l'eroina o i soldi, non si potrà più fare.

- DIVIETO D’INTERCETTAZIONE PER LA CASTA: Se si intercetta un criminale che parla con un parlamentare (la qual cosa accade con grande frequenza), quell'intercettazione non è valida e il Pubblico Ministero deve bloccare tutto e chiedere l’autorizzazione del Parlamento a proseguire. E si verificherebbe il caso in cui un parlamentare in aula si trova a votare se può essere intercettato o meno.

I parlamentari poi, potrebbero diventere portatori di pizzini, e la criminalità organizzata, quella dei colletti bianchi potrà individuare una persona di riferimento e farsela eleggere in Parlamento.

- INTERCETTAZIONI AMBIENTALI: La limitazione delle intercettazioni ambientali ai luoghi nei quali "vi è fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo l'attività criminosa", siccome la certezza non c’è mai, cancellerà di fatto le intercettazioni ambientali.

Questo provvedimento è il primo passo concreto verso l’annunciata “Riforma Costituzionale”. Magistratura e informazione, come in ogni regime che si rispetti, verranno poste sotto il controllo del Governo e addomesticate, perché questo possa essere libero di agire indisturbato. Il bavaglio all’informazione in particolare, ricorda da vicino la legge sulla stampa voluta da Mussolini dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti.

Non si era mai arrivati ad un imbarbarimento simile!

Se oggi il futuro non è più come quello di una volta, lo si deve anche ai 60 miliardi di euro, quantificati dalla Corte dei Conti, che cittadini devono sborsare ogni anno per coprire il costo della corruzione. Ma invece di contrastare il crimine e il malaffare, Marcio Man e la sua masnada fascista pensano ad eliminare lo strumento che ha permesso di individuarlo: le intercettazioni.

OCCORRE DUNQUE UNO SCATTO DI ORGOGLIO CIVICO DA PARTE DI TUTTI, UN PIANO DI AZIONI POLITICHE, LEGALI E CIVILI CAPACI DI CONTRASTARE LA NORMA E DI DISATTIVARLA, SINO ALLA CONVOCAZIONE DI UNA GRANDE INIZIATIVA NAZIONALE.
I PARLAMENTARI DELL'OPPOSIZIONE DOVRANNO IMPEGNARSI A LEGGERE IN AULA LE NOTIZIE CHE I GIORNALISTI NON POTRANNO PIÙ DARE COSÌ CHE TUTTI POTRANNO SAPERE COSA SUCCEDE.

LIBERIAMOCI DAL FLAGELLO DEL BERLUSCONISMO !

LA LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI SI DEVE RITIRARE !

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venerdì 21 maggio 2010

manovra di Tremonti: l'editoria minacciata

Intercettazioni e tagli: l'editoria minacciata


Il ddl sulle intercettazioni è l'ultimo attacco di una lunga offensiva del governo contro l'editoria e la stampa indipendente. Nella manovra di Tremonti, nuovi tagli ai fondi per la stampa cooperativa, no profit e delle minoranze?

L’allarme è di nuovo altissimo. Non solo per il ddl sulle intercettazioni che rischia di ridurre sensibilmente la libertà di stampa in Italia. Sulla stampa indipendente, cooperativa, no profit, delle minoranze linguistiche e di partito pende ancora la scure dei tagli decisi lo scorso anno dal «serial ministro» Giulio Tremonti.
L’editoria è infatti uno degli unici settori in cui – senza un quadro legislativo chiaro – i tagli del ministro stanno già operando con effetti devastanti per l’occupazione e per la vita delle aziende stesse.
Lo ricorda in un Mediacoop, l’associazione delle testate cooperative e no profit, in un comunicato congiunto con la Federazione nazionale della stampa, al Comitato per la libertà d’informazione e all’associazione Articolo 21. «Il Sottosegretario Bonaiuti continua ad annunciare risolutori Stati Generali, che già posticipa all’autunno, ma ribadisce che, comunque, non ci sono risorse – si legge nel comunicato – La proposta di legge di riforma, che secondo la richiesta della Camera e del Senato doveva essere presentata entro giugno, è di là da venire. Per il Governo sembra rappresentare sempre più un semplice artificio dialettico: nelle difficoltà economiche generali il problema della informazione, un settore così decisivo per la democrazia del Paese, sembra non esistere, derubricato ad uno dei tanti problemi, se non l’ultimo. Nel frattempo i provvedimenti assunti nel corso degli ultimi due anni, contestati dalla maggioranza bipartisan di Camera e Senato e adottati, tutti, con il ricorso al voto di fiducia, stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di un centinaio di testate, cooperative, non profit, di partito e di quelle edite e diffuse all’estero, di migliaia di piccole esperienze del mondo dell’associazionismo diffuso, di tante aziende dell’emittenza locale impegnate nell’opera difficile e costosa di transizione al digitale ed hanno assestato un pesante colpo a tutte le grandi e più diffuse testate – quotidiane e periodiche – ed all’editoria libraria con la soppressione delle tariffe postali agevolate. In questo quadro parlare di riforma diventa soltanto una beffa. La riforma è in corso di fatto. L’esito sarà quello di una drastica riduzione delle dimensioni del settore e di un gravissimo colpo al pluralismo delle fonti e dell’accesso. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che per i contributi diretti per il 2010 è previsto in Finanziaria uno stanziamento del tutto insufficiente che prefigura un ulteriore pesantissimo ed automatico taglio. Senza contare che la trattativa con Poste Spa, convocata dal Governo per la definizione di un accordo privato sulle tariffe postali, si è impantanata nel più assoluto disinteresse dell’esecutivo. E’ urgente che il Governo riprenda in mano la situazione, predisponga rapidamente il DDL promesso e – in attesa di una riforma che consenta al settore editoriale di uscire dalla transizione e di costruire un moderno sistema della comunicazione – dia attuazione urgentemente ai contenuti dell’appello dei 360 Deputati e dell’ordine del giorno approvato dal Senato che prevedono la conferma del diritto soggettivo per il 2010 e 2011; il ripristino dei contributi per i giornali editi e diffusi all’estero e per l’emittenza locale. Torniamo ad insistere, infine, affinché il Governo assuma le iniziative necessarie per sbloccare la trattativa Poste-Editori per la definizione di un accordo sulle tariffe postali equo e sostenibile».

Il timore è che nella manovra che Tremonti sta preparando e che sarà presentata come decreto del governo, su cui probabilmente peraltro scatterà la fiducia, ci siano nuovi e definitivi tagli ai fondi per l’editoria, senza che ancora ci sia all’orizzonte nè l’appuntamento degli Stati generali, né tantomeno la legge di riforma del settore che il governo e in particolare l’evanescente Bonaiuti hanno annunciato da due anni.



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giovedì 20 maggio 2010

Santoro spiega il suo addio dalla RAI

Santoro spiega il suo addio: “Non potevo continuare a lavorare trattato come un nemico interno”

Michele Santoro spiega i motivi del suo addio alla Rai: “Non potevo continuare a lavorare accerchiato come il generale Custer. Non si può vivere bene in un’azienda che ti considera un nemico interno. Se digito il mio nome sulla banca dati Rai esce fuori l’espressione in causa”, spiega al Corriere della Sera.

Il conduttore racconta che la decisione ultima di lasciare l’azienda pubblica è arrivata con la scelta della Rai di ricorrere in Cassazione contro la sentenza con cui il 26 gennaio del 2005 il giudice del lavoro la obbligava a restituirgli un programma in pirma serata. La sentenza è poi stata confermata, ma la vicenda ha inciso su Santoro.

Il giornalista salernitano ricorda gli ottimi risultati di Annozero, che quest’anno ha raggiunto punte del 30 per cento di audience, attestandosi sempre in media intorno al 20 per cento. Ascolti molto apprezzati anche dalla Sipra, la concessionaria della pubblicità Rai, che da due ha portato a quattro i blocchi di pubblicità, spiega Santoro.

I Centri media confermano la tesi del conduttore: ogni puntata di Annozero vale intorno ai 350mila euro, si cui un terzo portati dal valore aggiunto della trasmissione.

Nonostante i numeri, e i soldi, Santoro sottolinea che “invece di avere appoggio, aiuti, sostegno dai vertici Rai ti arriva il ricorso in Cassazione. Io mi sarei aspettato ben altro. Cioè la proposta di trovare un accordo e chiudere il contenzioso giudiziario, dopo un’annata così”.

Per evitare di restare altri tre anni senza lavorare, il conduttore ha deciso di sperimentare con una docu-fiction, cercando magari spazi alternativi sul satellite o in rete.

Riguardo alla liquidazione milionaria, Santoro ricorda di avere un contratto da direttore, di aver lasciato con uno scivolo di tre anni di stipendi “così come avviene con i dipendenti che raggiungono certi accordi”.

20 maggio 2010

http://www.blitzquotidiano.it/tv/michele-santoro-rai-annozero-384218/



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mercoledì 19 maggio 2010

Cosa pensa la società civile afghana


Quel che pensa la società civile afghana

DI : Emanuele Giordana


Le soluzioni contro la guerra di chi non viene ascoltato: idee molto diverse da quelle del generale McChrystal.

Ad aver voglia di ascoltarli gli afgani, molte delle soluzioni alla guerra ci sarebbero già. Ci sarebbe già un percorso possibile in quelle lontane lande dove certe idee sono già ben prefigurate. E sono altro da quel che dice Hillary Clinton, il generale McChrystal o l’italico Palazzo dove il mantra è sempre quello: si deve restare anche se a far cosa non si sa.
Prendete le donne di Afghan Women’s Network, il maggior ombrello di organizzazioni femminili del Paese: rispetto al Piano per la sicurezza nazionale, è necessario che questo funzioni in linea con le risoluzione dell’Onu e, dicono, col Piano nazionale che riguarda i temi di genere. E ancora, rispetto al Programma nazionale di pace e riconciliazione, dice ancora un documento ufficiale di Awn, bisogna essere certi che ne siano parte piena le donne: che i fondi a disposizione costituiscano un incentivo per favorire i loro diritti e la loro autonomia nel lavoro e nella società. Questa, che dovrebbe essere musica per le nostre orecchie occidentali, è però una voce molto flebile, sottoposta agli urti di una guerra che, dopo le dichiarazioni di principio, ha altro per la testa.
Najila Ayubi, che il coordinamento delle donne afgane ha inviato alla Perugia Assisi su invito della Tavola della pace e del network di “Afgana”, si spiega meglio: “C’è un’assoluta mancanza di sintonia tra quello che sta facendo il governo afgano e chi prepara l’imminente lancio di un’offensiva al Sud.” Come si fa, dice, a parlare di pace e impugnare le armi? Di più, le donne afgane hanno chiesto al governo di essere presenti al processo di pace che inizia formalmente a fine maggio a Kabul. Ma anche Najila sa che questa richiesta, se non viene appoggiata, rischia di cadere come tutte quelle che provengono dalla società civile. Che ha le idee molto chiare. Mentre discutiamo con lei e col dottor Khalil Rahman Naramgui, presidente dell’associazione di giornalisti di Baghlan, Najila ci riempie di un’autentica dose di pragmatismo. Ride divertita, e anche sconvolta, del fatto che un membro della delegazione palestinese le ha detto che non credeva fosse afgana…Najila non porta il burqa e sembra dire ai nostri (e loro) stereotipi: “liberatevene, prima di venire a liberare noi”. Le chiediamo delle difficoltà di trattare con i carnefici: “Mio padre e mio fratello sono stati uccisi dai mujaheddin. Io sono stata vessata dai talebani. I signori della guerra ci hanno portato via terra e beni. Certo che vorrei rivendicare le mie proprietà, vedere questa gente in tribunale pagare i crimini commessi, ma so che in Afghanistan tutti hanno le mani sporche di sangue. E che dunque anche con questa gente, talebani compresi, bisogna negoziare, trattare….”.
La discussione fa emergere molti punti comuni tra lo spirito della società civile afgana e quanto dicono molte organizzazioni pacifiste italiane: che la soluzione militare non è la soluzione e che la situazione resta gravata da una totale discrasia tra quanto cerca di fare il governo Karzai con l’esercito che risponde a Kabul e quanto si decide a Washington o a Bruxelles: aggiungono che l’Afghanistan è un Paese che cerca la pace ma che il negoziato, insistono gli ospiti afgani, “non può essere solo simbolico. Deve aprirsi a tutte le forze e contemplare la presenza attiva delle donne, anche per difenderne il ruolo in futuro”. Un ruolo che resta debole anche perché la società civile interessa poco: inascoltata, sottofinanziata, indifesa, abbandonata a se stessa, in un circolo vizioso che, dice Najila, “alla fine ci fa mancare anche il sostegno psicologico che è importante quanto i finanziamenti”. Durante tutta la discussione, non manca mai un riferimento costante alla vittime della guerra: il dottor Khalil ricorda le stragi di Uruzgan, Shindand, Bala Boluk, litania belluina del conflitto. Ma anche le pressioni quotidiane sui giornalisti che non sono sotto i riflettori di Kabul e che lavorano nella provincia profonda: “Io -dice serafico – son stato in prigione già due volte”. Aveva scritto male di Karzai.
Quell’avvitamento del conflitto afgano, sembrano dire i due ospiti della Perugia Assisi, è dunque anche una questione di prospettiva. Se la guerra la guardi solo dalla parte del potere, ti sfuggono i termini reali che sono poi le sofferenze, le necessità primarie e le speranze della gente, del popolo con la “p” minuscola che non ha voce in capitolo. E invece ti accorgi che esiste, che ha un programma in testa, e persino un modo di essere “laico” anche se Najila va alla moschea, se rispetta la tradizione. Se ne vanno augurandosi una Perugia Assisi da Kabul a qualche altra città afgana. “Un desiderio, ma non un fatto impossibile”. Entrambi sono convinti che ci verrebbe un mare di gente in un paese che il mare non ce l’ha.

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G8 di Genova: i vertici della polizia condannati in appello ...

G8 di Genova: i vertici della polizia condannati in appello


I giudici della terza sezione della corte d'appello di Genova, dopo una lunghissima camera di consiglio, condannano gli alti gradi della polizia presenti al momento dell'irruzione nella scuola Diaz, il 21 luglio del 2001. Erano stati tutti assolti in primo grado. Condanne per un totale di 85 anni di carcere. Francesco Gratteri, oggi capo dell'anticrimine, condannato a 4 anni e all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Stessa condanna per Giovanni Luperi, oggi capo dipartimento dell'Aisi.

Dopo una lunghissima camera di consiglio iniziata nel pomeriggio di martedì, i giudici della corte d’appello di Genova hanno ribaltato la sentenza di primo grado sull’irruzione alla scuola Diaz, avvenuta durante i giorni del G8 del luglio 2001. I giudici della terza sezione della corte d’appello hanno condannato tutti i vertici della polizia, che erano stati assolti in primo grado, a pene tra 3 anni e 8 mesi e i 4 anni, assieme all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nel complesso le pene superano gli 85 anni. In totale sono stati condannati 25 imputati su 27. Tra i giudicati colpevoli anche Francesco Gratteri, oggi capo dell’anticrimine, e Giovanni Luperi, nel frattempo promosso a capo diparimenti dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna: 4 anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.

Nella requisitoria finale il procuratore generale Pio Machiavello aveva chiesto per i ventisette imputati oltre centodieci anni di carcere. Il magistrato ha usato parole molto dure: «Non si possono dimenticare – aveva detto – le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei 93 no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Nè si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l’attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti».
Il procuratore generale Machiavello ha riproposto la ricostruzione dei fatti compiuta dai pm del primo grado, Zucca e Cardona Albini, ma ha rilevato con ancor maggior insistenza la responsabilità dei vertici della polizia presenti sul posto al momento dell’irruzione nella Diaz, dove dormivano decine di persone dopo le manifestazioni del 21 luglio 2001 contro il vertice del G8.
In primo grado, tutti i vertici, Francesco Gratteri, Giovanni Luperi e Gilberto Caldarozzi, erano stati assolti, così come il capo della Digos di Genova Spartaco Mortola, mentre il capo del settimo reparto della mobile Vincenzo Canterini era stato condannato a quattro anni di reclusione, il suo vice Michelangelo Fournier (l’unico che abbia accettato di deporre in aula e rispondere alle domande dei pm usando l’espressione «macelleria messicana» per descrivere il raid) a due anni, otto agenti del reparto erano stati condannati a pene diverse.
Una sentenza, quella di primo grado, che non ha convinto i giudici della corte d’appello di Genova, che hanno ritenuto di dover punire anche il comportamento degli alti funzionari della polizia.

Oggi davanti al tribunale di Genova c’era stato anche un presidio del Comitato Verità e giustizia che dal 2001 chiede che sia fatta piena chiarezza sulle responsabilità dei vertici della polizia, fino all’allora capo Gianni De Gennaro, oggi al vertice del Cesis, l’ufficio di coordinamento dei servizi segreti. Amnesty international aveva definito la situazione del luglio 2001 come «la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale».

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martedì 18 maggio 2010

Silvio contro Draquila

Silvio contro Draquila


Giuliano Santoro


Non contento dell’autogol in sforbiciata a proposito della partecipazione di Sabina Guzzanti e del suo «Draquila» al Festival di Cannes, il ministro della cultura berlusconiana Sandro Bondi ha preso carta e penna per scrivere un articolo contro l’intero cinema italiano. La categoria sarebbe responsabile, secondo Bondi, di raccontare «la società in disgregazione, la famiglia in rovina, le relazioni più difficili e insensate» senza ricorrere alla «bonaria stigmatizzazione» del cinema degli anni sessanta. Appunto da questo scontro, dice il ministro, tra la «tracotanza dell’ideologia» e la «bonaria stigmatizzazione» deriverebbe la decisione di boicottare la kermesse francese. I responsabili della rassegna hanno risposto gelidi: «Il ministro? Non era neanche invitato».
Oltre le figuracce da antologia di Bondi, il governo ha un motivo in più per essere nervoso: Sabina Guzzanti, forte delle polemiche e dell’utilità del suo film, passeggia beffarda sulla croisette proprio mentre lo scandalo della cricca degli appalti coinvolge il governo. «Silvio contro Draquila» non è la trama di un film di serie B ma la cronaca di questi giorni, non solo cinematografica.
La domanda dei nostri amici stranieri ci perseguita da quasi venti anni: «Cosa è Berlusconi?». Ogni volta ci sembrava di essere parziali e inefficaci: dietrologi quando parlavamo della P2, giustizialisti quando puntavamo il dito contro le questioni penali, paranoici se concentravamo l’attenzione sul controllo dei media, troppo raffinati nel cercare la soluzione nella via italiana al neoliberismo del berlusconismo e nel Cavaliere come lato oscuro del lavoro postfordista. «Draquila» riesce a spiegare «Cosa è Berlusconi» al resto del mondo con semplicità, prendendo un caso concreto e clamoroso e intrecciando tra di loro processi, conflitti di interessi e laboratori biopolitici. Ecco perché ci sono volute due giornate intense a Sabina Guzzanti per evadere le richieste di intervista: i giornalisti delle testate internazionali hanno dovuto prendere il numeretto come dal salumiere per farsi spiegare cosa è successo all’Aquila e cosa succede in Italia.

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Presentata la settima edizione di Terra futura

Le comunità di Terra futura


Presentata la settima edizione di Terra futura, in programma alla Fortezza da basso di Firenze dal 28 al 30 maggio. La grande mostra sulla buone pratiche quest'anno è dedicata al tema della comunità

Le comunità sostenibili: questo il tema di Terra futura 2010, la mostra-convegno internazionale sulla buone ospitata a Firenze dal 28 al 30 maggio, presentata venerdì 14 a Roma. La conferenza stampa è stata una buona occasione per i promotori [la Fondazione culturale responsabilità etica del gruppo Banca etica e altri] per ragionare su alcuni temi ed eventi dell’ultimo anno, tra cui, la crisi globale che precipita in Europa, ma anche i terremoti de L’Aquila e di Haiti, i fatti di Rosarno, le questioni del clima, intorno ai quali sono stati pensati alcuni appuntamenti. Del resto, Terra futura vuole essere anche quest’anno uno spazio nel quale movimenti, associazioni, istituzioni e imprese si incontrano per confrontarsi e costruire inedite cooperazioni sulle grandi questioni sociali e ambientali.
«Domani e domenica saremo tutti alla Marcia per la pace, un evento al quale Terra Futura si unisce idealmente nello spirito e negli obiettivi», ha esordito Ugo Biggeri, presidente Fondazione culturale Responsabilità Etica onlus, presentando la settima edizione di Terra futura che si volgerà sempre alla Fortezza da Basso. «A Firenze vogliamo ribadire – ha detto Biggeri [un’intervista a Biggeri è stata pubblicata su Carta 14/2010] – come resti fondamentale il ruolo del cittadino responsabile e della società civile organizzata nel promuovere nuova cultura e nel dar vita ad esperienze che generano sui territori percorsi virtuosi e possono spingere la politica a occuparsi di tante questioni spesso gravemente trascurate».

Terra futura, che sette anni fa quando è nata [dopo lo straordinario Forum sociale europeo di Firenze] era l’unico evento di questo tipo, è promossa e organizzata da Fondazione culturale del gruppo Banca etica, insieme a Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’economia sociale, ma anche Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete e Legambiente [e numerosi media partner tra cui Carta].
Pace, diritti umani, giustizia sociale, sostenibilità: ancora una volta Terra Futura chiede una svolta e impegni concreti: «Ci hanno fatto credere che servono troppi soldi per realizzare gli obiettivi del millennio, e che questi soldi, qualche decina di miliardi di euro, mancano – ha continuato Biggeri – Non si trova denaro per salvare beni comuni come l’acqua, l’istruzione, i diritti a una vita dignitosa per tutti,… eppure soltanto per l’ultima manovra finanziaria per salvare l’economia europea sono stati destinati ben 750 miliardi di euro. Questo ci fa capire chiaramente, fa quasi male dirlo, che quella finanza è considerata un bene comune. E allora, per lo stesso motivo, dobbiamo come cittadini far sentire la nostra voce, chiedere che sia seriamente regolamentata, ad esempio con tasse sulle transazioni finanziarie».
«La profondità della crisi che attraversa l’intero pianeta costringe a interrogarsi sulla sostenibilità del modello di sviluppo, di crescita, di progresso che ha dominato sin qui e che ha prodotto gli effetti drammatici che sono sotto gli occhi di tutti – ha aggiunto Paolo Beni, presidente Arci nazionale – L’emergenza climatica è emblematica del rischio di autodistruzione che corre una società che ha consegnato il bene della vita allo strapotere dell’economia, e con drammatica urgenza richiama alla necessità del cambiamento». Ma mentre la politica annaspa, a livello popolare cresce la sensibilità su temi come l’acqua, per la quale sono state già raccolte 420.000 firme in meno di venti giorni in favore del referendum sull’acqua pubblica, ma anche sul cibo, i rifiuti, l’inquinamento, la vivibilità delle città. «Terra Futura è l’occasione per condividere e mettere in rete riflessioni, proposte e buone pratiche – ha spiegato Beni – per tentare di costruire insieme il paradigma etico e culturale di un nuovo umanesimo nell’era della globalizzazione».

Interessante l’intervento di don Andrea La Regina, responsabile dell’area macroprogetti di Caritas Italiana, che ha spiegato come a Firenze occorre ragionare anche di diritto alla casa e di esclusione sociale, citando ad esempio, quanto accaduto a Rosarno a proposito di migrazioni. A Terra futura 2010, inoltre, saranno segnalate le esperienze di associazioni e imprese che hanno detto forte il loro no alle mafie, in particolare attraverso la presentazione del Rapporto di Libera sui beni confiscati alla mafia.
Il programma di quest’anno prevede seicento aree espositive [con circa cinquemila enti rappresentati, ci sarà anche lo stand di Carta], oltre duecento appuntamenti culturali che vedranno l’intervento di ottocento relatori, quaranta presentazioni di libri, duecentocinquanta animazioni e laboratori. Tra gli altri, ci saranno Susan George, Euclides Mance, Vanda Shiva e Wolfgang Sachs.
Il programma culturale completo è on line.

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venerdì 14 maggio 2010

Inceneritori siciliani

Inceneritori siciliani, l'affare del secolo

Infiltrazioni mafiose nell'«affare del secolo», quello degli inceneritori siciliani, sui quali sta indagando la Procura di Palermo. Tra le persone «informate sui fatti», il presidente della regione Raffaele Lombardo.


«La mafia si è infilata in un sistema che le avrebbe consentito un affare che avrebbe fruttato, chi dice cinque, chi dice sette miliardi di euro, e una rendita annua di centinaia di milioni di euro per i prossimi 20-30 anni». Così scrive Raffaele Lombardo, presidente della regione Sicilia, sul suo blog, prima di essere ascoltato ieri in tarda serata dai pm di Palermo come testimone nell’ambito dell’inchiesta sugli inceneritori siciliani.
La miccia è stata un dossier presentato a marzo alla magistratura dall’assessore regionale all’energia Piercarmelo Russo, dove erano state denunciate presunte irregolarità sui progetti di realizzazione degli inceneritori.
Una vicenda che parte da lontano, con le gare d’appalto indette nel 2002 dall’allora commissario straordinario per l’emergenza rifiuti e presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, come si legge in una nota diramata dalla guardia di finanza di Palermo, che ieri ha perquisito le sedi di tutte le Ati, le associazioni temporanee d’impresa, delle società consortili e delle agenzie pubbliche coinvolte nella costruzione degli inceneritori. Una vicenda che portò nel 2007 l’annullamento delle gare da parte della Corte di giustizia europea, a causa della scarsa pubblicità data ai bandi e all´errato sistema adottato: la concessione al posto del’appalto.
I quattro inceneritori, previsti dal piano rifiuti regionale, finiti sotto inchiesta sono quello di Bellolampo [Palermo], Casteltermini [Agrigento], Paternò [Catania] e Augusta [Siracusa]. Ad aggiudicarsi l’appalto furono quattro raggruppamenti di imprese: la Pea di cui faceva parte la Safab, poi coinvolta in un’inchiesta di corruzione, la Platani Energia Ambiente, la Tifeo e la Sicil Power. Tre Ati erano capeggiate dal gruppo Falck e uno da Waste Italia.
L’indagine, oltre che su presunte infiltrazioni mafiose nell’affare, cerca di far chiarezza sulla regolarità della gara e sull’eventuale esistenza di «accordi di cartello» tra le Ati che, con la compiacenza di funzionari pubblici a cui sarebbero andate tangenti, si sarebbero spartite a tavolino i lavori e poi, dopo la bocciatura europea, avrebbero fatto andare deserte le gare successive per indurre la Regione ad abbandonare la strada del bando pubblico.

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Rifiuti, il governo vuole lo stato di emergenza in Sicilia


Al grido «Realizzare termovalorizzatori o sarà crisi», il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, Gaetano Pecorella [Pdl], indica la via maestra per gestire i rifiuti in Sicilia. Per realizzare in tempo più dei quattro inceneritori già previsti dal piano regionale, dice, «è necessaria la dichiarazione dello stato di emergenza e il commissariamento. Altrimenti, senza l’accorciamento delle procedure, si potrebbe verificare una vera situazione di crisi». E consegna la partita alla protezione civile E’ la conclusione della tre giorni della commissione a Palermo, dove Pecorella, avvocato di fiducia del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, ha ascoltato fra gli altri il sindaco di Palermo, il presidente dell’Agenzia regionale per le acque e i rifiuti, gli assessori regionali Gaetano Armao e Mario Milone. Non è invece riuscito a incontrare il presidente della Regione, Raffaele Lombardo [Mpa]. «Non vogliamo fare polemiche, ma la commissione si è trattenuta a Palermo per tre giorni e Lombardo non è riuscito a incontrarci», ha detto Pecorella. «Ho fatto presente, per iscritto, al presidente Pecorella, la mia impossibilità a essere presente all’audizione della commissione stessa, programmata a Palermo», ha replicato Lombardo, che forse sarà ascoltato nei prossimi giorni.

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giovedì 13 maggio 2010

LIBERTÀ D' INFORMAZIONE E COSTITUZIONALI

La liberta' e' partecipazione informata.

PER LA LIBERTÀ D'INFORMAZIONE, PER LE LIBERTÀ COSTITUZIONALI
All’appello contro la legge bavaglio sulle intercettazioni hanno già aderito oltre 40.000 persone, gruppi, sindacati e associazioni.
All’appello hanno dato il loro sostegno alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani:
Valerio Onida, Presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani; Alessandro Pace, già Presidente della stessa associazione; Gaetano Azzariti; Lorenza Carlassare; Mario Dogliani; Gianni Ferrara.
Per approvare il disegno di legge è stata impressa una vistosissima accelerata ai lavori parlamentari Sono previste sedute mattutine, pomeridiane e notturne della Commissione Giustizia del Senato per concludere l’esame di un testo dall’impianto proibizionista e punitivo. E’ indispensabile moltiplicare gli sforzi per rafforzare l’opposizione a questo attentato alle libertà costituzionali.
Invitiamo tutti a a metterci la faccia, alla pagina Facebook http://bit.ly/cVcr10 che ha raggiunto il numero di 19.390 adesioni oppure a firmare in calce l'appello che ha già raggiunto la cifra enorme di 22.370 firme.
Articoli e info 

La libertà è partecipazione informata”

Al Senato la maggioranza cerca di imporre la Legge sulle intercettazioni telefoniche che scardinerebbe aspetti essenziali del sistema costituzionale.
Sono a rischio la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini ad essere informati.
Non tutti i reati possono essere indagati attraverso le intercettazioni e viene sostanzialmente impedita la pubblicazione delle intercettazioni svolte
Una pesante censura cadrebbe sull’informazione. Anche su quella amatoriale e dei blog (Art.28).
Se quella legge fosse stata in vigore, non avremmo avuto alcuna notizia dei buoni affari immobiliari del Ministro Scajola e di quelli bancari di Consorte.
Se la legge verrà approvata, la magistratura non potrà più intervenire efficacemente su illegalità e scandali come quelli svelati nella sanità e nella finanza, non potrà seguire reati gravissimi.
Si dice di voler tutelare la Privacy: un obiettivo legittimo, che tuttavia può essere raggiunto senza violare principi e diritti.
Si vuole, in realtà, imporre un pericoloso regime di opacità e segreto.
Le libertà costituzionali non sono disponibili per nessuna maggioranza.

 http://nobavaglio.it/       LINK X FIRMARE



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lunedì 10 maggio 2010

Caro Scajola: cittadino italiano residente in L’Aquila

Caro Scajola
DI : Filippo Tronca


Anch'io ho un problemino con la casa. Lettera di raccomandazione da un cittadino aquilano.

Gentile ed Esimio Dott. Ex-Min.
Onorevole Claudio Scajola,

Chi le scrive è un cittadino italiano, residente in L’Aquila, che in occasione del terremoto del 6 aprile, una sciagura che ci ha colto tutti davvero di sorpresa, ha perso l’unica casa che aveva.
Le scrivo innanzitutto per esprimere la mia personale solidarietà per la spiacevole disavventura che le è capitata, e che le è costata il posto di lavoro.
Come la capisco! Anche io come altri 20 mila post-terremotati, mica bruscolini, siamo in cassa integrazione o siamo diventati disoccupati.
Ma le comuni sciagure servono almeno a rinsaldare il senso di solidarietà, ed è per questo che mi permetto di chiederle un piccolo aiuto.

Prima però devo brevemente rappresentarle la mia personale e difficile situazione ma, la prego di credermi, non lo faccio con l’intento pretestuoso di far fare una brutta figura al mio Paese, né per atteggiarmi a lamentoso e scroccone terremotato meridionale. Anche perché, con un genovese parsimonioso e inflessibile come lei, me ne guarderei bene.
Deve dunque sapere che dopo un anno vivo ancora in un garage che divido con il motozappa di mio cugino. Infatti nel famoso concorso a punti della scorsa estate, insieme a trentamila colleghi senzatetto, non ho messo la crocetta sul progetto C.a.s.e., e ho scelto di ricevere un assegno mensile di 300 euro al mese, nella consapevolezza che patate, cipolle e bottiglie di pomodoro, site anch’esse nel garage di cui sopra, non mi sarebbero bastate per sopravvivere, e anche se avessi scelto di concorrere per un appartamento del progetto C.a.s.e., finito lo spumantino e le masserizie con cui il Nostro Presidente ha riempito la dispensa, non avrei avuto più nulla da mangiare.

Quei pochi soldi che guadagno facendo lavoretti in nero, li devo mettere da parte per pagare il mutuo della mia casa distrutta. E la banca, sugli interessi sospesi, mi ci farà pagare pure gli interessi. Del resto qui anche le banche sono terremotate. Gli ultimi spiccioli li scialo al Gratta e Vinci, per contribuire alla ricostruzione della mia città.
Ma capirà, dopo un anno la convivenza con il motozappa è diventata impossibile. Che vuole, ho un carattere difficile, sono single, e del resto se non lo fossi, non mi troverei in questa situazione, al limite dell’auto-estinzione.
E così, vengo a bomba. Avrei deciso di costruirmi un mezzanino da 180 metri quadri, con superba vista sui gloriosi ruderi della chiesa di Collemaggio, cosa che aumenterà senz’altro il suo valore di mercato.
«Ma ciò è illegale!», osserverà lei esterrefatto. Beh, voglio stupirla: si dà il caso che avrei trovato un astutissimo escamotage. Che vuole, il terremoto aguzza l’ingegno.
Presenterò infatti questa mia dimora temporanea come un’opera d’arte, e precisamente come un monumento che celebra e riproduce in miniatura una palazzina antisismica del progetto C.a.s.e, con tanto di dedica scolpita in una stele di cartongesso, all’ingegner Gian Michele Calvi, il fondatore della nuova L’Aquila. Un esempio di home-sweet-home-art, dove l’elemento umano, nella figura di me medesimo, completa l’installazione abitandola, interpretando in una performance-in-situazione, la vita quotidiana di un terremotato medio.

C’è un problemino, i soldi, che avrà intuito, non mi bastano. Anzi per essere precisi non ho un becco di un quattrino in tasca, e vengo dunque alla richiesta di aiuto.
Leggendo il giornale ho saputo che esiste in Italia un sant’uomo che le avrebbe pagato, a sua insaputa e in forma anonima, buona parte di un suo appartamento di Roma che ora per colpa dei soliti invidiosi e rosiconi, le sta procurando un sacco di problemi. Ecco, questo è un episodio che mi ha colpito molto e che infonde rinnovata fiducia nel buon cuore degli italiani, capaci di solidarietà, per di più fine a sé stessa, e non per vanagloria e smania di protagonismo.
Le chiedo dunque la cortesia di rintracciare questo benefattore per recapitargli il numero di conto corrente della ditta edile presso cui ho intenzione di acquistare il materiale di cui ho necessità. Garantirò ovviamente il suo più rigoroso anonimato, al fine di preservare la purezza caritatevole del gesto. La donazione potrebbe ad esempio essere convertita in caciotte circolari, poi barattate in statuette di Padre Pio, quelle incapsulate dentro sfere di cristallo accessoriate di nevicata, non so se ha presente, e ancora in sardine, esportate in Albania e fatte rientrare in Italia nella forma di profumi taroccati di Dolce&Gabbana, infine convertiti in denaro grazie alla collaborazione di un banchiere travestito da clown, che pagherà la merce al falegname amico mio a sua volta camuffato da bagno chimico.

Lei, gentile signor Scajola, dando una lezione di moralità agli italiani ha affermato: «Lascerò l’appartamento, non posso avere il sospetto di abitare una casa non pagata da me». Io questo lusso purtroppo non me lo posso permettere, in una casa non pagata da me ci vivrei benissimo. Però potrei contraccambiare alla generosità del misterioso e timido benefattore in modo più che dignitoso.
Ho letto infatti che un amico di lui, tal signor Francesco Maria De Vito Piscicelli, è appena uscito di prigione. Ebbene, sono pronto ad offrire la mia casa pericolante, in pieno centro storico, per consentirgli di trascorrere in un luogo tranquillo e silenzioso, i mesi di arresti domiciliari che lo attendono. Nel sincero augurio che non gli capiti di tornare a ridere dentro il letto.


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sabato 8 maggio 2010

Million marijuana march, l'8 maggio a Roma

Million marijuana march, l'8 maggio a Roma

DI : Antonella Tancredi


L’appuntamento per i consumatori di marijuana è per sabato 8 maggio, alle 16, in piazza dei Partigiani, a Roma. Altre manifestazioni sono previste in tutto il mondo

Come ormai ogni anno dal 2001 sabato 8 maggio si terrà il decimo appuntamento con la Million marijuana march. A Roma e in altre trecento piazze del mondo i consumatori della pianta dai tanti benefici, si daranno appuntamento alle ore 16 a piazza dei Partigiani fino a Piazza Bocca della Verità, dove migliaia di persone al seguito dei carri con i sound [esclusivamente reggae per scelta degli organizzatori] invaderanno il centro della capitale fino alle 23. Tre sono gli obiettivi dell’iniziativa, uguali in tutto il mondo: fine delle persecuzioni per i consumatori, diritto all’uso terapeutico della cannabis per i pazienti, diritto a coltivare liberamente una pianta che è parte del patrimonio botanico del pianeta.

Tutte le ultime edizioni della Million Marijuana March sono state dedicate alle vittime del proibizionismo, Giuseppe Ales, Federico Aldrovandi, Alberto Mercuriali, Aldo Bianzino, uccisi non dalla «droga» ma da «leggi proibizioniste, come la Fini-Giovanardi» si legge nel comunicato degli organizzatori. Quest’anno sul manifesto dell’iniziativa, una colomba tiene nel becco una foglia di marijuana, la dedica è a «tutte le vittime del proibizionismo massacrate di botte in galera o ancora prima di arrivarci». È evidente il riferimento a Stefano Cucchi morto in ottobre nell’ospedale Pertini di Roma, appena una settimana dopo l’arresto per pochi grammi di marijuana.
A differenza degli altri anni, gli organizzatori tengono a precisare che non sarà una Street parade come tutte le altre, ma solo carri con musica reggae. Un genere musicale che, secondo i promotori, meglio si concilia con lo spirito della manifestazione, mentre restano esclusi dalla marcia i sound di musica elettronica che negli ultimi anni hanno partecipato all’evento. «L’organizzazione ha deciso di rifondare la Million, con meno carri e solo di musica reggae, perché è meglio essere in numero minore ma molto più comunicativi, consapevoli e non criminalizzabili».

«In un paese dove giorno dopo giorno vengono progressivamente cancellati i basilari diritti civili di cittadinanza, non sarà un corteo funebre né una street parade ma una marcia che esprima la nostra gioia e voglia di vivere in antitesi all’immagine kriminal/patogena che i proibizionisti amano spacciare di noi», si legge ancora nel comunicato. La decisione ha scatenato polemiche tra gli esclusi, sia sui blog dedicati all’evento che sui social network. Molti dei carri di musica elettronica che da anni partecipano all’evento si sono sentiti dire un secco «no» dagli organizzatori. «Non saranno accettati carri non autorizzati». Aggiungono i promotori: «Ci dispiace dover tagliare gli altri generi musicali, ma semplicemente quello che si è determinato nell’ultima edizione è un meccanismo enorme che noi non siamo in grado di gestire».

L’appuntamento comunque per gli amanti della cannabis e dei suoi effetti benefici e per chi la vuole libera dal narcotraffico, è per sabato 8 maggio a alle 16 a piazza dei Partigiani in zona ostiense.

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giovedì 6 maggio 2010

Pasolini, filmato una verità scomoda





Il delitto Pasolini nelle immagini di Citti e Martone 1/3
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A uccidere Pasolini non fu solo il Pelosi, quella notte all'Idroscalo c'erano almeno altre tre o quattro persone. E c'erano due auto e non solo quella dell'intellettuale ucciso. Ne è convinto l'amico e regista Sergio Citti che dieci giorni dopo l'omicidio - nel novembre del 1975 - fece delle riprese sul posto del massacro a caccia di prove e testimonianze. Lì trovò un pescatore che nella notte aveva visto due auto e diversi uomini picchiare Pasolini. Nel video che vedete Citti ripreso da Mario Martone e interrogato dall'avvocato Guido Calvi commenta le immagini che ha girato lui stesso oltre 35 anni fa e dice la sua verità sulla notte che morì Pasolini. Il video è stato girato da Mario Martone nel luglio del 2005, tre mesi prima della morte di Sergio Citti. Ora è depositato agli atti alla Procura della Repubblica di Roma ed è un documento unico per le indagini che si avvarranno anche del lavoro dei Ris. Oggi è stato presentato dall'avv. Calvi e da Martone alla Casa del Cinema di Roma. Repubblica Tv è la prima a farvi vedere questo documento, in versione integrale. (Repubblica TV)

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Il delitto Pasolini nelle immagini di Citti e Martone 2/3
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Il delitto Pasolini nelle immagini di Citti e Martone 3/3
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Pasolini, in un vecchio filmato


una verità scomoda e sconosciuta

 

Un documento che Mario Martone ha girato nel 2005 in cui Sergio Citti commenta alcune immagini riprese all'indomani dell'assassinio dell'intellettuale. La testimonianza di un pescatore: le macchine erano due, e le persone erano tante. Un amico di Pasolini avrebbe fatto alcuni nomi

di LAURA LARCAN
ROMA - Trenta minuti di verità sconosciuta e scomoda, raccontata con la voce affaticata dalla malattia. Sergio Citti commenta le immagini mute del video che girò all'idroscalo di Ostia subito dopo l'omicidio di Pier Paolo Pasolini avvenuto il 2 novembre del 1975, mentre sullo sfondo il fratello Franco allettato lo guarda. E' il "film nel film" che Mario Martone ha girato nel 2005, in collaborazione con l'avvocato Guido Calvi e l'allora assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna, poco prima della morte di Sergio Citti e che è stato depositato una settimana fa al pm Francesco Minisci per la riapertura dell'inchiesta sull'uccisione dello scrittore e regista. Il documento, che è stato illustrato alla casa del Cinema di Roma dal senatore Calvi incaricato dal Comune di Roma che nel 2005 (a trent'anni dalla morte) si costituiva parte civile nell'indagine, rimette in discussione le "verità" di Pino Pelosi (l'unico accusato ufficialmente della morte di Pasolini) rivelandone tutte le incongruenze "incontrovertibili", come ci tiene a sottolineare anche lo stesso Martone.

La novità sta nel fatto che Citti riporta la testimonianza di un pescatore che abitava in una delle casette che circondano l'area dell'idroscalo, e che avrebbe assistito all'assassinio. "Il pescatore mi aveva raccontato cosa aveva visto quella notte ma non voleva essere ripreso perché aveva paura - dice Citti  - aveva visto entrare due macchine nell'area, e non una sola. E diverse persone. Pasolini fu preso e tirato fuori da almeno quattro, che l'hanno portato contro una rete e cominciato a picchiare". I passaggi più intensi sono poi quelli che documentano la fine quando il pescatore diceva di sentire Pasolini urlare. Sembrerebbe che a un certo punto Pasolini avesse fatto finta di essere "finito" e, allontanatisi quegli uomini, s'era tolto la camicia insanguinata e s'era asciugato, ma che poi una macchina era tornata coi fari accesi, e quegli uomini lo avrebbero inseguito a piedi. Citti ricorda che il pescatore aveva detto di aver visto "sto poveretto alzarsi e scappare, ma poi di non averlo più visto".

E insiste Sergio Citti nella ricostruzione delle manovre della macchina, "assurde e strane" in considerazione delle possibili vie d'uscita dall'area, e quindi evidentemente finalizzate a investire il corpo di Pasolini. "Non credo sia stata la macchina di Pasolini a investirlo - ribadisce Citti - ma l'altra, la seconda". E proprio su questa macchina entra in scena anche il contributo della testimonianza di Silvio Parrello, 67 anni, uno dei "ragazzi di vita", l'unico intellettuale del gruppo, come si definisce, perche oggi è poeta e pittore, che con un'indagine personale "per affetto e riconoscenza verso la madre di Pasolini, donna che ha sofferto tanto", avrebbe individuato i nomi di alcuni "ignoti": il carrozziere che riparò e ripulì da sangue e fango la macchina che materialmente uccise lo scrittore e la persona che quella notte gliela portò. "I nomi li so e l'ho fatti un mese fa al giudice - dice Silvio - Come l'ho scoperto? È' una lunga storia. La seconda macchina, non quella di Pasolini, quella notte fu portata prima a un carrozziere sulla Portuense che si rifiutò di pulirla e sistemarla, poi a un secondo che la prese in custodia. Poi, stranamente, il 16 febbraio del '76 a processo iniziato, quella stessa persona che aveva portato la macchina, scomparve. Quattro anni dopo però il suo nome ricompare perché fermato con patente scaduta. Ma il suo caso risultava top secret".

Parrello racconta, nel dettaglio, che nel frattempo si era fatto vivo un figlio di quest'uomo, nato da una relazione extraconiugale, sconosciuto anche dai più intimi familiari, chevoleva conoscere il padre. E nella ricerca s'era fatto aiutare da un amico che lavorava alla Digos, che ha scoperto quanto fosse "top secret" la sua posizione. "Quindi non ci vuole una laurea per capire che è un protetto". "Questo Stato ha un grande debito nei confronti dell'indagine - dice Guido Calvi - la morte di Pasolini fu chiusa subito dopo l'arresto di Pelosi e non fu fatto più nulla con la cancellazione di elementi fondamentali. Stavolta qualche speranza in più la nutro. Anche perché c'è tutta la vicenda strana di Petrolio innescata dalle dichiarazioni di Dell'Utri, che ha dato materia per riaprire l'istruttoria". Sul fronte del Comune di Roma, l'assessore alla Cultura Umberto Croppi conferma l'impegno a "spingere la nuova amministrazione a continuare a sentirsi parte offesa riguardo a un possibile omicidio", anche perché "l'ipotesi politica che verrebbe confortata dal capitolo inedito e scomparso di Petrolio evoca uno scenario inquietante sull'epoca, alludendo a connivenze che hanno forse ancora vitalità oggi se non siamo riusciti a scioglierle in trent'anni". Colpo di scena, Dino Pedriali il fotografo di Pasolini dichiara oggi di aver visto "con i suoi occhi" gli scritti di Petrolio e che lo stesso Pasolini gli aveva confidato di aver scritto seicento cartelle del finale.

Pier Paolo Pasolini Operazione NOTTE BUIA




Pier Paolo Pasolini

Operazione "'Notte Buia"


http://cipiri.blogspot.com/2011/10/pier-paolo-pasolini-operazione-notte.html
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Minacce con proiettili a pm e giornalisti

Anche ieri minacce con proiettili a pm e giornalisti. I pm sono quelli siciliani che indagano sui mandanti esterni delle stragi e han fatto processare Dell’Utri per mafia. I giornalisti sono Santoro e Ruotolo, fra i pochi che di questi temi tabù parlano in tv. Il Fatto ha pubblicato intercettazioni minacciose di uomini della ‘ndrangheta amici di Dell’Utri contro Travaglio e Santoro.

Ora al torvo copione si aggiungono Spatuzza e Ciancimino jr, che hanno il torto di raccontare i rapporti mafia-politica-servizi. Da quand’è iniziata la crisi di sistema con gli scandali su Berlusconi & C, si registra un’escalation che ricorda i messaggi della "Falange Armata", a mezzadria fra mafia e servizi, al crepuscolo della Prima Repubblica. Inquieta il silenzio delle istituzioni, così solerti nel dotare di scorta i giornalisti vicini al governo. È troppo chiedere al ministro dell’Interno Maroni con quali criteri viene scortato questo e non quello? Queste minacce sono ordinaria amministrazione? E, in caso contrario, che intende fare il governo per proteggere i destinatari?




LEGGI: Proiettili in redazione, minacce a Ingroia, Ruotolo e Santoro di Eduardo Di Blasi

Fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2484204&title=2484204


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lunedì 3 maggio 2010

Milano contro gli inceneritori

Milano contro gli inceneritori

Ernesto Pedrini


Milano e provincia si mobilitano contro gli inceneritori che, in qualche modo, sono «strategicamente» collegati all'Expo.
Inceneritore_milano_legambiente

Dopo la mobilitazione nazionale contro gli inceneritori che ha coinvolto migliaia di persone, lo scorso 17 aprile a Parma [che sta coinvolgendo persino l’imprenditore Barilla]. Dopo che l’indignazione popolare ha costretto il presidente della Regione Emilia Romagna ad ammettere la «deroga» alla legge per bruciare i fanghi velenosi, provenienti dal Lambro, nell’inceneritore di Piacenza, qualcosa si muove anche in Lombardia.
Una prima vicenda riguarda il raddoppio dell’inceneritore di Trezzo sull’Adda [Nord-est Milano], gestito dalla Prima Srl che fa capo al Gruppo Falck, ed ha preso il via lo scorso giugno, con la richiesta della società di portare le linee di incenerimento da due a quattro, con un’ulteriore capacità di smaltimento di 193 mila tonnellate di rifiuti all’anno. Un potenziamento che prevede, tra l’altro, un raddoppio della volumetria e della superficie occupata [attualmente circa 23 mila metri quadrati]. In una prima fase, la richiesta di ampliamento era stata archiviata dalla Regione Lombardia per «motivi tecnici in merito alla reale disponibilità delle aree interessate», cui è però seguita, poche settimane fa, una sentenza del Tar che ha «riaperto il processo autorizzativo».
L’inceneritore di Trezzo sull’Adda è uno dei lucrosi impianti del gruppo Falck, [che è entrato nel business dell’energia dopo aver lasciato la siderurgia], che beneficiano dei contributi statali [i CIP6] come «fonte di energia rinnovabile».
Il 18 aprile a Grezzago, comune confinante con Trezzo, si è tenuta una manifestazione promossa dal WWF di zona, che ha visto diverse centinaia di persone, compresi molti sindaci. Il sindaco di Trezzo sull’Adda si è sottoposto ad analisi del sangue che hanno individuato la presenza di metalli pesanti, derivanti con buona probabilità dal rilascio di polveri dell’inceneritore.
Molti sindaci presenti anche nella seconda manifestazione, che ha visto circa duemila persone a Opera, in pieno parco agricolo Sud Milano. Qui l’oggetto del contendere è la realizzazione di un nuovo inceneritore, che il comune di Milano [attraverso la ex municipalizzata A2A] vorrebbe realizzare proprio al confine con Opera passando sopra le teste dei cittadini e degli enti locali, compresi quelli «amici»: è interessante ricordare che l’attuale sindaco di Opera è l’ex segretario della Lega Nord, che si era distinto in passato per la vergognosa persecuzione dei Rom che il comune di Milano aveva espulso sul territorio di Opera.

La strategia che vede questa richiesta «a tenaglia» di nuovi inceneritori per la provincia di Milano è, ancora una volta, il famigerato Expo2015. Nel nuovo dossier presentato al Bureau International des esposition, si stimano 20 milioni di visitatori. Solo qualche mese fa la stima del numero di ipotetici visitatori dell’Expo fosse di 6 milioni di visitatori nei sei mesi previsti. Ora, non si comprende come le stime possano essere triplicate nel giro di pochi mesi se al fine di utilizzare questo numero enorme per giustificare le «grandi opere» connesse ad Expo. Oltre alle autostrade e all’alta velocità, anche gli inceneritori rientrano in questa discutibile «strategia».
Più gente significa più rifiuti da bruciare, per impianti che poi vivranno inghiottendo i rifiuti che provengono da fuori territorio [come già succede per oltre la metà di quanto bruciato a Trezzo sull’Adda].
È doveroso ricordare che gli inceneritori sono impianti che vivono delle provvigioni statali, altrimenti non sarebbero economicamente sostenibili. Per questi incentivi la Commissione Europea ha avviato una procedura di messa in mora dell’Italia, dichiarando questi incentivi un dazio ingiusto. Per questo motivo l’associazione Diritto al futuro sta promuovendo in tutta Italia una campagna per ottenere il rimborso dei contributi CIP6, versati dai cittadini in questi anni.


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