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sabato 13 febbraio 2010

Militarizzazione in America latina

Militarizzazione in America latina

Orsetta Bellani


Un articolo uscito sull'ultimo numero della rivista Solidarietà internazionale, per fare il punto sulla strategia militare di Washington verso il Sud.

La politica di Obama per l’America Latina è la stessa delle precedenti amministrazioni: assicurare la presenza nella regione dei militari e delle industrie nordamericane attraverso atti apparentemente filantropici, come l’elargizione di aiuti.
Ne è un chiaro esempio il Plan Colombia, accordo di cooperazione militare tra Colombia e Stati Uniti. Promosso da Clinton come strumento capace di incidere sulle cause strutturali del narcotraffico, il piano non prevede in realtà una strategia capace di ridurre la domanda di droga: l’80 per cento dei 550 milioni di dollari che riceve annualmente è infatti destinato al settore militare. Questo perché in realtà lo scopo dei due governi è rafforzare l’apparato repressivo, in modo da avere un maggiore controllo non solo su guerriglie come le FARC, ma anche sui movimenti sociali contrari alla politica di Uribe.
Che la generosità nordamericana non sia disinteressata si evince chiaramente dalla legge statunitense che approvò il finanziamento al piano, la quale prevede la necessità di «insistere affinché il governo colombiano completi le riforme urgenti di apertura totale della sua economia per gli investimenti e il commercio estero, in particolare per l’industria petrolifera». Aprire l’economia colombiana significa permettere alle imprese statunitensi di investire nel paese, e consentire loro lo sfruttamento delle sue risorse naturali.
Il Piano ha inoltre preparato il terreno all’accordo che, a partire dal novembre 2009, permette alla potenza nordamericana l’utilizzo di 7 basi militari colombiane, causando la preoccupazione della maggior parte dei governi della regione, convinti che l’ingerenza statunitense possa attentare alla loro sovranità ed integrità.
Simile al Plan Colombia è l’Iniziativa Mérida, da molti chiamato «Plan México», che prevede investimenti da parte degli Stati Uniti in Messico e nei paesi Centroamericani per rafforzare la lotta contro il narcotraffico. Come in Colombia, l’accordo ha spianato la strada a successive esperienze di «cooperazione militare»: Panama ha infatti annunciato la costruzione di undici basi, causando l’ira di Chavez, convinto che verranno utilizzate dagli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il Messico – principale beneficiario dell’omonimo piano – il Congresso statunitense stabilì di condizionare la consegna del 15 per cento dei fondi a criteri di trasparenza in materia di diritti umani, viste le numerose violazioni commesse dai militari messicani. Gli Stati Uniti hanno quindi stabilito, attraverso un sottile atto di ipocrisia che, anche nel caso in cui vengano documentate violazioni dei diritti umani da parte delle autorità messicane, queste potranno godere dell’85 per cento dei 1.100 milioni di dollari previsti dal piano. Nonostante le proteste da parte di numerose Ong, ad agosto Obama ha annunciato la liberazione completa dei fondi per il Plan México.
La violenza dell’esercito messicano non colpisce solo i narcotrafficanti. Come in Colombia, la militarizzazione in Messico viene portata avanti per consentire alle autorità una più stretta sorveglianza sui movimenti sociali, essenziale al mantenimento dello status quo in un paese che può già contare su riuscite esperienze di autonomia, di cui la zapatista è solo un esempio.
L’idea che sia necessario creare una cortina per proteggere gli Stati Uniti è contenuta sia nell’Alleanza per la Sicurezza e la Prosperità dell’America del Nord [Aspan] che nel Progetto Mesoamerica, versione militarizzata del Plan Puebla Panamà. Questo «perimetro di sicurezza» deve arrivare fino a Panama, in modo da isolare il paese Nordamericano dalla minaccia rappresentata dalle esperienze izquierdiste latinoamericane, in particolare dal contagioso «socialismo bolivariano» di Chavez.
La militarizzazione di Messico, Centroamerica e Colombia è infatti parte di una strategia di ampio respiro della geopolitica statunitense: conquistare una maggiore sorveglianza sui propri confini e il controllo dell’America Latina. Attraverso questa chiave di lettura possiamo comprendere la finalità di molte scelte degli Stati Uniti, come il riconoscimento delle elezioni che in novembre hanno legittimato il governo golpista in Honduras. In un programma televisivo honduregno, il generale golpista García Padgett ha affermato: «Il nostro paese è parte di un piano generale, il Plan Caracas, il cui obiettivo è arrivare fino al cuore degli Stati Uniti. L’Honduras ha fermato questo piano che vuole portare fino al cuore degli Stati Uniti un socialismo, un comunismo, un schavismo travestito da democrazia».

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