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martedì 10 novembre 2009

La scuola di gomma non sarà abbattuta



La scuola di gomma non sarà abbattuta

Maralis

La tribù beduina dei jahaleen ha vinto il primo ricorso contro l'ordine di abbattimento emesso dalle autorità israeliane. La scuola di gomma, che da settembre ospita 60 bambini, per ora rimane al suo posto tra le dune del deserto di Gerico. La vicenda però non è chiusa.

Il Tribunale israeliano ha deciso di ignorare un ordine di demolizione nei confronti della «scuola di gomma» dei beduini della tribù jahaleen, di Gerico, e ha chiesto alle parti di trovare un accordo preservando il diritto allo studio dei bambini palestinesi. I campi dei jahaleen sono concentrati nel deserto di Giudea, quella parte di Cisgiordania compresa tra Gerusalemme est e Gerico. Sono spesso jahaleen i beduini che chiamano i turisti in sosta per le foto di rito con il cammello o l’asino e per vendere qualche souvenir.
La scuola elementare di realizzata con copertoni usati, terra e acqua [ne abbiamo parlato sul numero 26 del 2009 di Carta] è diventata un edificio simbolico contro l’occupazione militare israeliana: è stata progettata da un gruppo di architetti italiani assieme alla Ong Vento di terra, per far fronte ai divieti di costruzione in muratura in una zona C della Cisgiordania, quella sotto totale controllo israeliano. Da settembre di quest’anno ospita circa 60 bambini.
Eppure, nonostante la tecnica «ecologica» ed innovativa e il lavoro manuale di una squadra di volontari internazionali, il 23 giugno scorso l’amministrazione civile israeliana ha inviato un’ingiunzione scritta di stop ai lavori e il 23 luglio un vero e proprio ordine di demolizione. I beduini hanno fatto ricorso e il caso da mesi era nelle mani di un tribunale israeliano. L’ordine di demolizione nasce dall’intervento della municipalità di Ma’ale Adumim, la più popolosa colonia israeliana costruita oltre la Linea verde del 1967. Il territorio dei jahaleen ricade in quello dei piani di espansione di Ma’ale Adumim.
Il 9 novembre scorso, subito dopo la cerimonia di inaugurazione della scuola al campo di Al-Khan Al-Ahmar, finalmente la buona notizia: i giudici hanno deciso che le parti – le municipalità delle due colonie israliane circostanti, la società dell’autostrada che corre sotto il campo, e la cooperativa jahaleen – devono cercare un accordo. La scuola comunque non va abbattuta.
«La corte ha accettato la nostra tesi, ossia che dietro la richiesta di abbattimento apparentemente legata a motivi tecnici, si nascondeva in realtà una motivazione politica», spiega Massimo Annibale Rossi, il responsabile di Vento di Terra Onlus, che ha ideato il progetto.
L’amministrazione di Ma’ale Adumim non aveva infatti gradito la costruzione di una scuola elementare in un terreno «conteso», considerato zona C e soggetto all’amministrazione civile e militare di Israele. La società che gestisce l’autostrada locale lamentava poi la necessità di estendere una delle carreggiate, facendola passare, guardacaso, sopra al terreno destinato ai bambini. Solo pretesti, secondo l’avvocato che segue la causa in difesa dei jahaleen.
«Gli architetti di Vento di Terra sono pronti ad apportare delle piccole modifiche al progetto originario; – spiega ancora Rossi – tra le motivazioni che giustificavano l’ordine di demolizione c’era anche quella sollevata dalla società delle autostrade israeliana che lamentava la necessità di spazio». Il contenzioso prosegue ora privatamente e la Olus italiana ha deciso di «rimanere dietro le quinte. Il tavolo negoziale ora riguarda i coloni, i beduini e la società privata, ma seguiamo comunque la vicenda tramite l’avvocato che gestisce il caso», aggiunge Rossi.
Certamente la vicenda non è chiusa: ci sarà forse un appello alla Corte suprema e la municipalità di Ma’ale Adumim potrebbe trovare altri cavilli, ma si tratta di una prima notevole vittoria e di un precedente che fa notizia. Anche perché la scuola di gomma dei jahaleen aveva fatto il giro del mondo. Tra i media israeliani, il quotidiano Haaretz aveva dedicato alla storia un lungo articolo di Amira Hass, e le troupe di diverse televisioni internazionali avevano seguito la vicenda dell’intera tribù che si era messa a raccogliere copertoni usati per costruire una scuola.
La scuola è stata finanziata finora dalla cooperazione decentrata italiana e da alcuni comuni lombardi e sostenuta da alcune agenzie delle Nazioni Unite e da organizzazioni israeliane come Rabbi for Human Rights. Ma non è escluso che anche la Cooperazione governativa italiana possa impegnarsi per un finanziamento che copra parte delle spese.
La struttura è completamente smontabile e i 300 metri quadrati delle aule si reggono in piedi perfettamente senza cemento. Nei muri spessi e freschi delle aule si nascondono più di mille pneumatici: «Per costruire questa scuola non abbiamo usato cemento – spiega ancora Rossi – Non ci sono fondamenta. E’ fatta interamente di copertoni riciclati riempiti di terra e acqua, coperti ancora di terra ed infine intonacati con dell’olio usato per friggere i falafel».
E’ un edificio caldo d’inverno e fresco d’estate che non disperde energia e potrebbe essere un ottimo esempio di bioarchitettura da replicare anche a Gaza dove i materiali da costruzione non entrano. Forse per questo è un progetto che fa paura.




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