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lunedì 5 ottobre 2009

Fermare i cantieri del Ponte per evitare altre stragi

Fermare i cantieri del Ponte per evitare altre stragi

Antonello Mangano www.terrelibere.it

No alle opere faraoniche, sì alla messa in sicurezza del territorio. Lo dice, dopo l’alluvione del 2 ottobre, il presidente della Repubblica. Lo sostiene, da sempre, il movimento che si oppone al Ponte. Eppure da gennaio partiranno gli annunciati cantieri collaterali.

Benvenuto, presidente della Repubblica, tra i militanti del No Ponte. Ovvero quel manipolo di egoisti, estremisti e retrogradi che da tempo immemorabile ripete «no ad opere faraoniche, sì alla messa in sicurezza del territorio». Esattamente quello che ha dichiarato Napolitano il 2 ottobre, di fronte ad oltre 20 cadaveri innocenti.
Fino a qualche settimana fa il governo minacciava l’uso dell’esercito contro le minoranze che si opponevano all’avvio dei cantieri. Il presidente dell’Anas Ciucci veniva investito della carica surreale di Commissario alla rimozione degli ostacoli frapposti alla grande opera. Il tutto nel silenzio delle istituzioni nazionali e locali. Parlare di «riqualificazione del territorio», evidentemente, colpiva meno l’immaginario rispetto alla retorica dell’isola da unire al «continente». Proposte come le infrastrutture di prossimità, il traghettamento pubblico tra le due sponde, la messa in sicurezza antisismica degli edifici venivano bollati come risposte insufficienti, soluzioni limitate. Dopo decine di morti, una quarantina di dispersi, centinaia di sfollati molti rivedono le proprie posizioni. Non tutti. Non avranno senso le solenni prese di posizione, le inchieste della Procura, le richieste di dimissioni e la caccia alle responsabilità se da domani tutto ricomincerà come prima. E tra poche settimane potrebbe riattivarsi lo stesso meccanismo. C’è un modo semplice e immediato per onorare i morti di Messina. Impedire che ne arrivino altri.
Non si è mai vista tanta incredulità intorno alle parole di un ministro della Repubblica e dell’amministratore delegato di una delle maggiori società di costruzioni del mondo. «Stiamo per aprire i cantieri», dicono con ammirevole costanza da mesi. Matteoli e Rubegni lo hanno ripetuto più volte, l’ultima il 3 ottobre, a 24 ore dal fango di Giampilieri: a gennaio partiranno le opere a terra. Forse addirittura a dicembre. I cantieri sarebbero stati divisi in quattro categorie: opere ferroviarie, stradali, collegamenti marittimi ed opere compensative. Le prime due sono connesse al Ponte. La terza sezione sembra addirittura sostitutiva rispetto all’attraversamento stabile. La quarta è il classico assegno staccato a un territorio in cambio della devastazione procurata. Per prima cosa la nuova stazione, ipotizzata prima in pieno centro e poi nella zona semi-periferica di Gazzi. Si parla dell’interramento dei binari e di nuove gallerie in area urbana. Poi arrivano le opere stradali: la «variante necessaria a preservare l’integrità della Cittadella universitaria dell’Annunziata», il raccordo Panoramica-Litoranea; il minisvincolo di Ganzirri, in corrispondenza del casello dove si pagherebbe il pedaggio prima di immettersi sul Ponte. In secondo luogo, la strada Curcuraci- Panoramica dello Stretto – Svincolo di Marotta e il raddoppio autostradale Giostra-Annunziata.
Poi le «opere stradali connesse», che servono a evitare interferenze tra mezzi di cantiere e traffico ordinario e – a opera compiuta – a sostenere un aumentato flusso veicolare del tutto ipotetico: la «seconda tangenziale» [Tremestieri-Giostra], il «secondo tratto» della via del mare, il bypass Annunziata-Pace, il completamento della copertura del torrente Papardo.
Prevedendo l’intasamento della città a causa del mega-cantiere, si ipotizzano sei «nodi di approdo» [Torre Faro, Papardo, Annunziata, Messina-porto, Gazzi, Tremestieri-porto] per integrare il sistema di trasporto pubblico e favorire gli spostamenti da una parte all’altra dell’area urbana. Infine, le opere compensative: interventi di salvaguardia della riserva di Capo Peloro; interventi attuativi del Piano particolareggiato-Porto di Tremestieri; la variante-bypass di Faro Superiore; la rinaturalizzazione e il ripascimento dei litorali; misure per l’area integrata dello Stretto; aree di protezione civile.
Si tratterebbe di una delle più grandi follie mai realizzate in Italia. Le strade e le ferrovie risulteranno perfettamente inutili fino al completamento finale del Ponte, e probabilmente anche dopo. Nello stand allestito lo scorso agosto alla fiera cittadina, la società Stretto di Messina mostrava senza pudore i plastici del progetto preliminare 2002. Da allora non è stata fatta molta strada: la successiva ipotesi, quella contestata dall’allora capo dei progettisti Remo Calzona, è del 2004. «E se dovesse essere valutato come inattuabile, a cosa saranno servite opere che si giustificano solo ed esclusivamente in funzione del Ponte?», si chiede Guido Signorino, docente di Economia, uno dei massimi esperti dei conti della mega-infrastruttura. «Cosa ne sarebbe di lavori frettolosamente realizzati con un anticipo di 6-7 anni?». Si procederebbe al dissesto ulteriore di un territorio fragile. Raddoppiare la tangenziale, interrare i binari, spostare la stazione sarebbero solo regali a Impregilo. Una nuova ferita per un territorio sanguinante. Un offesa ai martiri di quella politica che oggi tutti rinnegano. A parole.

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