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venerdì 25 settembre 2009

Scudo fiscale: allo Stato le briciole

Scudo fiscale: allo Stato le briciole

Romano Nobile

Un colpo di spugna sugli evasori, che risparmiano 160 miliardi di euro di imposte non pagate. Dei 100 miliardi che dovrebbero rientrare, solo 5 vanno allo Stato, oltre 80 a banche e finanziarie.

La nuova stagione di rigore, trasparenza ed eticità auspicata da molti governi per il mondo dell’economia e della finanza in controtendenza al regime di opacità trasgressiva corresponsabile della crisi, appare – almeno per quanto riguarda la situazione italiana – ancora lontana anni luce. Il nuovo «scudo fiscale», anche grazie ad alcuni emendamenti apportati in commissione Senato, può definirsi come un’operazione che premia le peggiori frodi tributarie perpetrate nel corso degli ultimi anni, senza entrare in sintonia con la volontà ultimamente mostrata dalla comunità internazionale [vedasi la conferenza di Città del Messico organizzata dall’Ocse] di scoraggiare quei meccanismi di opacità e di speculazione elusivi impiegati nell’arcipelago offshore [«paradisi fiscali»].
In base al provvedimento di condono, definito dal Wall Street Jornal come una gigantesca amnistia operata a favore dei grossi evasori esportatori di capitali, si prevede, secondo alcune stime effettuate da importanti studi finanziari, che possano rientrare in patria o comunque essere «regolarizzati» circa 100 miliardi di euro trasferiti nei paradisi. Il fiume di capitali comprenderà denaro contante, titoli, quote societarie, attività di fondazioni, trust o società immobiliari, ma, in gran misura, riguarderà fondi neri, profitti sottratti al fisco italiano attraverso la falsificazione dei bilanci.
Gli ultimi emendamenti prevedono, per chi aderisce, un colpo di spugna sul falso in bilancio, su una vasta gamma di reati fiscali e tutela garantita dalle norme antiriciclaggio. Inoltre gli atti, i documenti e le attestazioni delle pratiche relative rimpatrio di capitali non potranno essere usati come prova nei confronti di chi ha un procedimento penale in corso Insomma, per chi ha costituito fondi neri all’estero c’è sicuramente l’opportunità di farla franca. Non solo, ma viene precluso nei confronti del dichiarante ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento. In pratica, visto che la prescrizione per gli accertamenti tributari è di cinque anni, lo scudo garantirà una protezione da indagini fiscali dal 2004 al 2008.
Una sanatoria «clandestina». Ma la vera perla di questo condono è costituita dall’anonimato totale, una misura già adottata ed apprezzata negli scudi precedenti. Per accedere alla sanatoria i soggetti interessati dovranno presentare una «dichiarazione riservata» agli intermediari [banche, reti di vendita, family office e altri], che porteranno a termine l’operazione di rientro o di regolarizzazione senza che il cliente possa venire allo scoperto. Da notare che il beneficio dell’anonimato non è affatto previsto negli analoghi «scudi fiscali» adottati in altri paesi europei come l’Inghilterra o la Francia. E in tali paesi le condizioni per l’evasore sono molto più dure. Mentre in Italia il condonato dovrà pagare un’aliquota del 5 per cento, l’Inghilterra impone il 10 per cento. Peraltro in Germania il rientro dei capitali dall’estero evita soltanto un procedimento sanzionatorio di evasione ma non produce, diversamente dal provvedimento italiano, alcuno sconto sulle aliquote che dovrebbero essere applicate sui redditi evasi.
L’entità del regalo. Tenendo conto del fatturato dello scudo, che, come si è detto, potrebbe ammontare a circa 100 miliardi, l’Ares è in grado di stimare il valore presunto del regalo, in termini di imposte risparmiate, che la sanatoria produrrà a favore dei protagonisti della corsa al rientro dei capitali. Se si calcola nell’80 per cento del totale [e cioè in circa 80 miliardi] la parte di capitali da considerare come proventi imponibili evasi, l’importo delle imposte risparmiate nell’arco dei cinque anni protetti dallo scudo ammonterebbe a quasi 160 miliardi [32 miliardi per ogni anno]. E ciò in cambio di quel 5 per cento, pari a 5 miliardi che potrebbero entrare nelle casse del fisco contribuendo [a mo’ di alibi] alla ricostruzione delle case terremotate de L’Aquila.
Una stima dello Studio Bernoni di Milano indica in quali regioni italiane e in quale misura rientreranno i capitali. E’ in testa la Lombardia con il 62 per cento, seguita da Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con l’11,3, mentre Sud e isole restano significativamente al 3,7 per cento. I vantaggi fiscali dello scudo si concentreranno dunque sul Nord, accentuando ulteriormente il divario economico tra settentrione e meridione.
Una manna per le banche. Ma del rientro dei capitali si avvantaggeranno le stesse banche e, guarda caso, le stesse finanziarie o reti di vendita che ne avevano curato e favorito l’esportazione. Oltre l’80 per cento dei capitali in rientro sarà intercettato dalle strutture di private banking nonché dalle fiduciarie presenti in quasi tutti i gruppi bancari, e soprattutto operanti all’estero, nelle varie strutture offshore. Un gigantesco conflitto di interessi dunque che non si sa bene come possa coniugarsi con la tanto pubblicizzata nuova politica di rigore e contrasto adottata da diversi paesi nei confronti dei paradisi fiscali.


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