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Mundimago

giovedì 2 luglio 2009

Un premier due morali

Un premier due morali

Chissà.
Forse è l'ennesimo complotto.
O una specie di maledizione.

Ma di nuovo - mentre s'interroga sull'ennesima tragedia causata dall'incuria e dal caos normativo - il paese è costretto ad occuparsi della doppia morale del presidente del Consiglio.

Lo schema è sempre lo stesso. Il Noemigate ci ha fatto constatare che il sostenitore del family day, l'uomo che bacia la mano al papa, l'ispirato difensore dei valori della cristianità non disdegna d'accompagnarsi a ragazze delle quali potrebbe essere il nonno e di trascorrere una notte con una squillo pagata da altri. Ieri abbiamo abbiamo dovuto scoprire che il fustigatore delle «toghe rosse», il castigatore dei pubblici ministeri che partecipano a dibattiti di carattere politico, il perseguitato dalla giustizia, intrattiene rapporti amichevoli e conviviali con i magistrati che dovranno decidere sulla legittimità costituzionale della legge che l'ha reso immune dalla giustizia medesima. Quel «lodo Alfano» che, tra l'altro, è all'origine di una delle sentenze più innovative della storia giudiziaria italiana: la punizione di un corrotto (l'avvocato Mills) ma non del suo corruttore. La notizia era filtrata qualche tempo fa. Ieri è stata solennemente confermata dal governo. Nelle prime settimane dello scorso mese di maggio il presidente del Consiglio è andato a cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella il quale, per tenergli compagnia, si era premurato di invitare anche Paolo Maria Napolitano, un altro dei giudici che dovranno decidere sulla legittimità della più famosa delle leggi ad personam. Si trattava, naturalmente, di una bicchierata tra amici e non si è parlato nel modo più assoluto del lodo Alfano. E infatti c'erano persone totalmente disinteressate alla questione, Gianni Letta, il senatore Carlo Vizzini e anche, casualmente, il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Non è finita. Perché ieri, dopo che era scoppiata la polemica sulla reale natura del party, il giudice Mazzella ha fatto sentire la sua voce. Si è cosparso il capo di cenere per la sconcertante gaffe? Si è dimesso? Figuriamoci. Il giudice Mazzella - per sottolineare la sua indipendenza - ha scritto una vibrante lettera alla presidenza del Consiglio dei ministri. Parole di fuoco: «Caro Silvio, siamo oggetto di barbarie ma ti inviterò ancora a cena».

Lo racconta Claudia Fusani.


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