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Mundimago

martedì 7 aprile 2009

La modernità dei disastri

La modernità dei disastri
di GIORGIO BOCCA


IL terremoto si distingue dalle altre e molte calamità per la rapidità e l'indifferenza naturali: nei pochi minuti delle scosse telluriche il disastro è compiuto, ai superstiti non resta che cercare i cadaveri sepolti sotto le macerie e camminare smarriti fra ciò che resta di città e villaggi. Fra il dolore insopportabile ma come sempre sopportato da chi ha perso i suoi cari, e il silenzio degli altri sopravvissuti che li compiangono ma sanno di essere stati miracolati.

Per giorni, per anni, si parlerà delle prevenzioni non fatte, degli errori compiuti, delle malefatte per egoismi per i quali è arrivato il conto da pagare e sui giornali e alla televisione ci sarà lo spettacolo dolente e impotente dei morti, dei feriti, dei loro parenti in lacrime.

Un nome verrà ripetuto in tutte le cronache, nei commenti, nelle polemiche. Quello di Guido Bertolaso il capo della Protezione civile, il professionista dei pubblici soccorsi che tutti gli italiani conoscono anche se, per la verità, faticano a capire che è lui il vero premier di questa Italia disastrata. Il vero capo del governo è lui, non i politici che in Italia e all'estero recitano la parte dei pubblici amministratori.

Bertolaso ha una sua uniforme, veste in borghese senza gradi e senza medaglie, pantaloni normali e un pullover blu con su cucito un nastro tricolore, ma non c'è italiano che non riconosca in lui quello che promette di rimettere in piedi il paese ogni volta che va in pezzi, che promette di ricucire le sue ferite, di togliere le macerie e le immondizie, di riaprire le strade, di riportare fiumi e torrenti nei loro argini. È quello che il capo ufficiale del governo vorrebbe essere, un "dittatore" buono. Bertolaso gode infatti dei poteri necessari per mobilitare eserciti di soccorritori, migliaia di treni, di auto, di camion. Quando arriva lui con il suo pulloverino blu, con il nastrino tricolore, prefetti, questori e generali si mettono sugli attenti e gli obbediscono senza fiatare. Lui zittisce le polemiche, come ha fatto anche ieri, spiega che la tragedia non si poteva prevedere. E non importa se poi non riesce a mantenere molte delle sue promesse. Bertolaso ha i pieni poteri, è il governo più forte del governo.

C'è una cosa importante che si sta verificando anche in Abruzzo. Nel dolore e nella disperazione dei disastri maturati la gente riscopre la voglia di resistere, di riparare. E per una volta i lacci e i lacciuoli burocratici sembrano scomparire di fronte alla superiore necessità. Si mobilita in poche ore un vero esercito nazionale che è quello dei soccorsi, che si mette in marcia dal Brennero a Capo Passero secondo piani e interventi preordinati, ma anche su base volontaria e solidaristica. Sospinto dall'emozione, dal dolore, dalla fratellanza di un popolo.

E c'è un'altra lezione, un'altra cognizione che viene da questo disastro per molti aspetti feroce e impietoso. La transizione fra l'Italia antica, paese d'arte, l'Italia dei mattoni e delle ardesie, e quella moderna del cemento armato. Fra l'Italia dei borghi medievali attorno ai castelli sopra i colli e quella delle zone industriali sui piani di fondo valle. Giornali e televisioni hanno intervistato i superstiti dei terremoti in Campania e nelle Marche, amministratori, funzionari che hanno visto con i loro occhi, a volte la morte dei loro cari, i ritardi e le imprevidenze, gli errori ancora una volta compiuti, ancora una volta troppo tardi denunciati. Ancora una volta hanno ricordato l'antica e mai osservata lezione di serietà e di modestia, il dovere di provvedere oggi al necessario invece di piangere domani sulla propria imprudenza.

Il rimprovero principale che si mosse alla megalomania imperiale mussoliniana, fu di aver speso uomini e denaro per la conquista dello "scatolone di sabbia" in Libia mentre nell'Italia meridionale mancavano strade e ferrovie e la gente continuava a portare i carichi in spalla e a percorrere a piedi i tratturi. Le grandi opere sono una testimonianza di civiltà ma anche un lustro di governanti ambiziosi più che saggi. Il ponte sullo Stretto di Messina e i treni super veloci sono belli da vedere e da raccontare ma poi arriva una pioggia persistente e una delle grandi opere, l'autostrada Salerno-Reggio Calabria si tramuta in quello "sfascio pendulo" che è gran parte del Meridione.

C'è infine una terza lezione da ricavare da questa modernità: non è più il tempo di correre a vedere chi è morto o senza casa. Anche la pietà e il cordoglio devono adattarsi alla modernità di massa, non intralciare sulle strade il traffico dei soccorsi. È una preghiera, ordine di Guido Bertolaso.

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